Doc. IV, n. 13-bis-A-bis





Onorevoli Colleghi! - A nome dei deputati del Partito democratico risultati in minoranza nella seduta del 27 gennaio 2011 riferisco su una domanda di perquisizione a carico di Silvio Berlusconi.

I fatti. Nella notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, presso la questura di Milano viene condotta una giovane di nazionalità marocchina, Karima El Mahroug, nata il 1o novembre 1992, denunziata per furto da tale Caterina Pasquino, che la indicava come autrice di una sottrazione illecita per un valore di circa 3.000 euro.
La minorenne Karima viene immediatamente identificata e si accerta che ella risiedeva in Letojanni, in provincia di Catania, e che si era allontanata da un centro di ricovero per ragazze in difficoltà.
Mentre sono in atto le procedure di affidamento a un centro per minori - secondo quel che stabilisce la legge, sentito anche il pubblico ministero competente - sopravviene l'indebito intervento del capo di gabinetto del questore di Milano, il dottor Pietro Ostuni. Costui sostiene di aver avuto indicazioni dal Presidente del Consiglio Berlusconi che Karima non sarebbe marocchina bensì egiziana e addirittura la nipote del presidente Mubarak. Ella pertanto deve essere liberata immediatamente e consegnata alla signora Nicole Minetti, consigliere regionale della Lombardia e incaricata dalla Presidenza del Consiglio.
A seguito di questa comunicazione inizia un convulso traffico telefonico tra il dott. Pietro Ostuni, la dottoressa Giorgia Iafrate, di turno in questura, il questore di Milano, Vincenzo Indolfi, e il dottor Morelli, dirigente dell'Ufficio Prevenzione generale della questura di Milano, circa 21 telefonate in meno di due ore.
Alle due di notte, Karima viene effettivamente consegnata a Nicole Minetti. Curiosamente, di tale consegna non è redatto un verbale regolare, sottoscritto da un magistrato, bensì una laconica attestazione di operazioni compiute, sottoscritta da due agenti di polizia.
Solo alle ore 2,20, dopo che la minore era già stata affidata alla Minetti, trasgredendo le indicazioni del PM, che aveva dato precise disposizioni sulla necessità di effettuare preventivamente verifiche presso la famiglia della minore, la dott.ssa Iafrate si attiva per avere conferma degli elementi richiesti dal pubblico ministero presso il tribunale dei minori.
Quest'ultimo, nel rispondere ad una richiesta di informazioni del Procuratore della Repubblica il 29 ottobre 2010 sottolinea che i fatti del 27 maggio avevano suscitato in lei molte perplessità, cosa che esternò con chiarezza all'interlocutrice (dott.ssa Iafrate), sottolineando in modo assertivo l'inopportunità di un affidamento a persona estranea alla famiglia senza l'intervento dei Servizi sociali. Lo stesso pubblico ministero sottolinea di non avere autorizzato l'affidamento della minore a Nicole Minetti.
A seguito di tale macroscopica violazione della legge vengono disposti ulteriori accertamenti ed emerge - come largamente noto - che Karima El Mahroug ha un soprannome, Ruby, e che frequenta le residenze del Presidente del Consiglio, in particolare la villa di Arcore. Resta confermato, evidentemente, che la ragazza ha genitori marocchini e non ha alcunché a che fare con il presidente egiziano. Si disvela quindi che l'intervento diretto del presidente del Consiglio sulla questura di Milano, volto a far sì che i pubblici dipendenti ivi addetti violassero la legge, non era motivato altro che dalla necessità di evitare che Ruby fosse affidata ad un centro per minori e che rivelasse la sua attività consueta e le sue ordinarie frequentazioni. Di qui l'apertura del fascicolo per concussione e le relative indagini.
Tali indagini - svolte nella più rigorosa formalità giuridica, con accortezza e pertinenza - hanno portato ad accertare che il Presidente del Consiglio invitava con regolarità presso la sua residenza di Arcore numerose persone, prevalentemente giovani donne, le quali svolgevano diverse attività di intrattenimento. Le visite delle persone via via identificate nel corso delle indagini erano assai frequenti, le cene venivano proposte dall'On. Berlusconi e organizzate in vario modo da Nicole Minetti, con il concorso di Dario Mora, più noto come Lele, ed Emilio Fede.
Dalle informazioni testimoniali e dalle intercettazioni telefoniche emerge con certezza un quadro inquietante di ambigue serate, con balli lascivi, relazioni interpersonali guastate da un sistema di mercificazione dei rapporti e slealtà venali.
È altresì accertato che presso Villa S. Martino è sita un'apposita sala per intrattenimenti di vario genere, che viene minutamente descritta attraverso le intercettazioni e le testimonianze raccolte. In questa sala gli ospiti (in genere venti, venticinque ragazze e tre o quattro uomini) si spostavano dopo cena e davano inizio a balli equivoci e squallidi contatti fisici.
In questo contesto, la magistratura ipotizza anche fatti di rilievo penale.
È infatti accertato che Ruby, da minorenne, frequentasse già i luoghi descritti. Ciò risulta tra l'altro dalla deposizione della medesima Caterina Pasquino che - in data 7 luglio 2010 - afferma che Ruby le aveva confessato a più riprese di avere intimità con il Presidente del Consiglio. L'autorità giudiziaria crede che la stessa Ruby si sia prostituita, integrandosi così il reato di prostituzione minorile di cui all'articolo 600-bis del codice penale. È evidente che questo profilo non può interessare la Giunta perché è rimesso alle verifiche giurisdizionali.
Tuttavia, numerosi elementi investigativi fanno apparire assai verosimile l'ipotesi accusatoria.
Anzitutto, in un'intercettazione telefonica del 7 settembre 2010 Karima parla con tale Grazia, madre di Sergio Corsaro, e le narra dei contenuti dell'interrogatorio sostenuto poco prima. Sostiene di aver evitato di «metterlo nei casini» e di aver negato che l'on. Berlusconi sapesse che lei era minorenne.
In un'intercettazione del 26 ottobre 2010, inoltre, Karima fa riferimento alla richiesta di cinque milioni di euro fatta al Presidente del Consiglio «a confronto del macchiamento del "suo" nome»; in un'intercettazione del 28 ottobre 2010, Karima precisa poi che il Presidente del Consiglio la chiama di continuo chiedendole «di passare per pazza» e afferma «con il mio avvocato gli abbiamo chiesto 5 milioni di euro in cambio del fatto che io passo per pazza, che ho raccontato solo cazzate e lui ha accettato».
Nella stessa giornata del 26 settembre 2010, Karima parla con Luca Risso e gli dice che ha parlato sia con l'on. Berlusconi sia con Lele Mora.
In una telefonata del giorno dopo, Ruby dice a tale Antonio Passaro che lei si rivolge a Berlusconi col nome di «papi». Parallelamente sappiamo dalla deposizione di tale Diana Maria Iriarte Osorio del 17 dicembre 2010 che Ruby la chiama da Genova per invitarla ad avere incontri sessuali a pagamento e le dice «....Il sabato c'avrò come minimo cinque clienti che comunque dobbiamo fare per diversi orari della serata, cioè torniamo a casa almeno con 4.000 €...» (pag. 73 dell'allegato 5).
Inoltre, dal tabulato relativo a due utenze intestate a Iris Berardi, minorenne all'epoca dei fatti, nel periodo compreso tra il 21 novembre 2009 e e il 23 novembre 2010, si evince la presenza anche della suddetta minore presso le residenze del Presidente del Consiglio (una volta a Porto Rotondo e ben 27 volte ad Arcore) (pag. 43-46).
In una telefonata del 29 settembre 2010, tra l'ex prefetto Carlo Ferrigno e il figlio, emerge che presso la villa di Arcore di sera venivano portate regolarmente tra le 20 e le 25 ragazze, le quali a un certo punto rimanevano in topless. Sempre Carlo Ferrigno, il 28 ottobre dice a tale Mario Sacco che nelle serate di Arcore si fa il «bunga bunga» e si elargiscono alle ragazze regali di ogni sorta e denaro.
Tra gli stessi interlocutori, il 1o novembre 2010 si offrono ulteriori ragguagli sulle serate a villa San Martino, sulle nudità offerte all'on. Berlusconi, sull'alcol disponibile e sulle presenze della Minetti che viene a tratti qualificata in modo poco lusinghiero (pag. 144 e 145).
Tali fatti vengono confermati dalle informazioni rese in data 15 gennaio 2011, da Maria Makdoum, che riferisce con dovizia di particolari le serate lascive e dissolute che si svolgevano nella Villa di Arcore (pagg. 144-150 del secondo incartamento). Un resoconto parimenti dettagliato si rinviene nelle informazioni rese in data 15 gennaio 2011 da T.M. (pagg. 168-173).
In un'intercettazione del 26 settembre 2010 (pag. 247 del primo fascicolo) Emilio Fede e la Minetti si scambiano informazioni e impressioni sulle varie serate e sui relativi partecipanti. Fede dice testualmente, parlando della Garcia Polanco: «Maristelle è simpatica però attenzione! Io conosco la sua storia vera, perché l'ho eletta miss Pompea, io l'ho avviata eccetera... [...] guarda, è una persona pericolosissima! [Lorenzo, il mio autista le ha fatto da paraculo], ... gli ha portato la bambina, beh lui si è intenerito della bambina, guarda ti devo dire la verità forse di tutte quelle di ieri sera ne salvo tre!». Nella stessa intercettazione Fede confida alla Minetti che al Presidente del Consiglio piacciono varie delle ragazze passate da poco ad Arcore (la slava, la brasiliana e tale Roberta).
Il tenore delle serate che si tengono ad Arcore lo ricaviamo anche dalle intercettazioni telefoniche relative a cene successive, cene numerose (12, 13 luglio; 11, 22, 24, 25 agosto; 5, 19, 20, 25, 26 settembre) cene che seguono sempre lo stesso copione. Una per tutte analizziamo la cena che si svolge ad Arcore il 19 settembre 2010. Fervono i preparativi, si incrociano le telefonate, gli inviti. Berlusconi contatta alcune ragazze e, tramite loro, altre. Dalla verifica delle celle e ponti radio agganciati ai cellulari in uso a varie invitate viene ricostruita la platea degli ospiti, la modalità della cena, la quantificazione della ricompensa alle ragazze partecipanti. Francesca Cipriani dice a Giovanna Rigato di avere ricevuto un braccialetto e 2.000 -, Aris Espinosa dice a Iris Berardi che dopo la notte trascorsa ad Arcore ha avuto ancora «una da cinque divisa in due» (due e cinque e due e cinque pag. 195), la Cipriani dice alla Faggioli che lui aveva anche delle buste «da cinque e da di più» ma che lei è contenta perché ha avuto quello che hanno avuto le altre e dice di aver avuto anche un braccialetto d'oro con un diamantino e la lettera F incisa, che a tutte le ragazze è stata data una busta con 2.000 €.
Nel secondo incartamento si trovano le fotocopie dell'agenda di Iris Berardi, la quale annota i pagamenti ricevuti da «papi»: 2.000 euro il 7 marzo, 2.000 euro il 13 marzo e il 5 aprile ancora 2.000 euro.
In dissonanza rispetto al coro avido è invece l'esperienza di M[elania] T[umino], invitata dalla Minetti per colorire la serata del Presidente e arricchirla di nuove tipologie femminili «... C'è la zoccola, c'è la sudamericana che non parla l'italiano e viene dalle favelas, c'è quella un po' più seria, c'è quella via di mezzo tipo Barbara Faggio li e poi ci sono io che faccio quel che faccio». Così viene invitata anche lei che ha due lauree ed è stata tre mesi alla Sorbona.
Dall'intercettazione del 20 settembre 2010 sulla sua utenza emerge che la ragazza è rimasta stupita per essere entrata nella villa senza alcun controllo, che nella discoteca c'è «... il degenero più totale, cioè proprio siamo, ripeto in un puttanaio in cui ci si intrattiene come meglio si crede...», che «... nei giornali dicono molto meno della verità cioè anche quando lo massacrano cioè è molto peggio. Molto più triste. A me ha proprio lasciato l'amaro in bocca. Ma non perché ho avuto paura, no, no, per la desolazione, sai quando vedi quelle cose... ... A me è scaduto tantissimo. Mi ha, mi sembrava di avere di fronte non lui ma le caricature del bagaglino. Ecco io ho vissuto la serata come se fossi al Bagaglino... A un certo punto, non si sa bene come o perché qualcuno ha iniziato a far vedere il culo e da lì la serata è decollata...,» (207 e segg.)
Dalla deposizione di M[elania] T[umino] del 16 novembre 2010 risulta che al termine delle serate l'on. Berlusconi dava alle ragazze partecipanti banconote, generalmente inserite in CD musicali (pag. 222 dello stesso allegato 5 nel primo incartamento).
Dalle indagini risulta poi che sette appartamenti siti in Milano, via Olgettina n. 65 erano posti a disposizione di altrettante giovani donne frequentatrici della residenza di Arcore. Tali immobili, di proprietà della Friza s.r.l. sono gestiti da Giuseppe Spinelli, che si occupa anche di pagare le bollette relative ai consumi di elettricità eccetera.
In uno di questi appartamenti, quello in uso a Maria Esther Garcia Polanco (in arte Maristelle), ospite assidua di Villa San Martino, vengono sequestrati nell'agosto 2010 oltre 2 chilogrammi di cocaina che il suo convivente Ramirez, arrestato in quel frangente, aveva nascosto in casa, lasciando altri 9 chili nel box adiacente. (Vale la pena rimarcare che proprio il 27 gennaio 2011, il Ramirez verrà condannato in primo grado a 8 anni per detenzione e spaccio di stupefacenti).
In una conversazione del 29 luglio 2010 (pag. 273), Giuseppe Spinelli - la persona i cui uffici la procura intende perquisire - parla con la Minetti e le fa presente che c'è stato un errore nei pagamenti «degli affitti» in ordine alla stessa Maristelle Garcia Polanco. Se ne trae che i compensi per il meretricio della medesima devono essere ravvisati anche nel pagamento del canone locatizio.
Orbene questi elementi necessitano sicuramente di riscontri oggettivi e rigorosi. Ce n'è però abbastanza per considerare l'inchiesta ben fondata e meritevole di assoluto rispetto.

Aspetti giuridici. La Giunta per le autorizzazioni a procedere è stata chiamata ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento della Camera ad esaminare la domanda di autorizzazione ad eseguire una perquisizione domiciliare nei confronti dell'on. Silvio Berlusconi ai sensi dell'articolo 68, secondo comma, Cost. (DOC. IV, n. 13-bis). L'esame di simili domande da parte della Giunta deve compiersi in particolare in relazione al parametro della sussistenza o meno del fumus persecutionis alla base della domanda stessa. Per ciascun caso la Giunta, come dispone l'articolo 18, comma 1, r.C., «formula, con relazione, proposta di concessione o di diniego dell'autorizzazione». (Conviene qui allegare i resoconti dell'esame per consentire una migliore comprensione del relativo andamento).
Nell'illustrare alla Giunta per le autorizzazioni una prima proposta nella seduta del 25 gennaio 2011, l'on. Leone aveva esposto una serie di argomentazioni secondo le quali alla base della suddetta perquisizione domiciliare sarebbe sotteso un intento persecutorio da parte della Procura della Repubblica di Milano nei confronti dell'on. Berlusconi. Un fumus persecutionis tale da giustificare, nella prima formulazione di proposta dell'on. Leone, il diniego della richiesta di autorizzazione a procedere. Il relatore aveva quindi inizialmente scelto una linea cauta e ragionata, anche se non condivisibile.
La sussistenza di un fumus persecutionis veniva dedotta dall'on. Leone sostanzialmente: dall'asserita incompetenza funzionale della procura di Milano (apparendo piuttosto competente il tribunale dei Ministri); dall'asserita competenza riconosciuta dalla Corte costituzionale in capo alla Camera a valutare la natura ministeriale o meno dei reati (competenza che alla Camera sarebbe stata indirettamente sottratta, nel caso concreto, dalla mancata attivazione del Tribunale dei Ministri); dalla natura ministeriale dell'illecito contestato; dall'incompetenza territoriale della Procura di Milano.
Sul merito di tale proposta e sulle singole argomentazioni addotte dal relatore, numerosi membri della Giunta per le autorizzazioni avevano espresso la propria contrarietà nella seduta del 27 gennaio 2011 e si erano espressi a favore della concessione dell'autorizzazione, preannunciando la presentazione di una relazione di minoranza. Tuttavia nessuna obiezione sembrava doversi opporre sotto il profilo regolamentare alla procedura che la Giunta stava seguendo nel caso concreto.
Al termine della seduta della Giunta del 27 gennaio 2011, tuttavia e come risulta dai resoconti qui allegati, il relatore on. Leone ha inopinatamente esposto una nuova proposta, approvata dalla Giunta, pronunciandosi questa volta per la restituzione degli atti all'autorità giudiziaria, argomentata in ragione della competenza funzionale del tribunale dei Ministri con riguardo alla richiesta in esame, data la natura ministeriale del reato.
La proposta approvata della Giunta circa la restituzione degli atti all'Autorità giudiziaria per incompetenza funzionale della Procura di Milano è errata sia dal punto di vista procedurale e regolamentare sia sotto il profilo delle argomentazioni addotte a sostegno di tale scelta (1).


(1) La Giunta per le autorizzazioni propone la restituzione degli atti all'autorità giudiziaria per l'asserita incompetenza funzionale della procura di Milano.
Tuttavia l'istituto della restituzione degli atti è contemplato da altre disposizioni del regolamento della Camera e non pare corretta in questo caso.
La richiesta sulla quale la Camera è chiamata ad esprimersi è quella relativa un'autorizzazione ad actum (perquisizione domiciliare) nei confronti di un membro del Parlamento ai sensi dell'articolo 68, secondo comma, Cost. richiesta sulla quale la Giunta è chiamata ai sensi dell'articolo 18, comma 1, r. C., ad esprimere «proposta di concessione o di diniego dell'autorizzazione».
In tal modo la Giunta sta dunque proponendo alla Camera di fare ricorso ad un istituto del tutto inconferente rispetto al caso concreto in esame. Peraltro il ricorso a tale istituto viene motivato sulla base dell'asserita competenza funzionale del tribunale dei Ministri e sull'assunto quindi che la Camera abbia una competenza costituzionalmente riconosciuta a qualificare un reato come ministeriale o meno (si cita in tal senso, del tutto a sproposito, la sent. n. 241 del 2009 della Corte costituzionale).
La proposta di restituzione degli atti alla procura di Milano è motivata in ragione dell'incompetenza funzionale della procura della Repubblica di Milano. Il reato per il quale si procede avrebbe natura ministeriale, sostiene l'on. Leone, e dunque la competenza a procedere sarebbe del tribunale dei Ministri.
Nel suo intervento del 25 gennaio 2011 l'on. Leone ha ricordato come secondo la procedura di cui all'articolo 96 Cost., alla l. cost. n. 1 del 1989 ed alla l. n. 219 del 1989, tra l'altro, «il procuratore della Repubblica che abbia ricevuto i rapporti, referti e denunzie concernenti i reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione, è tenuto a trasmetterli al cosiddetto Tribunale dei Ministri, senza compiere alcuna indagine». Nel caso di specie, «la procura di Milano non ha preso in considerazione in nessun modo tale procedura, senza quindi minimamente ipotizzare che nel caso in questione potesse trattarsi di uno dei reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione»; mentre in altri casi (l'on. Leone cita in proposito le decisioni della Procura di Firenze del 2005 sul Ministro Matteoli e della Procura di Trani del 2010 sul Presidente del Consiglio Berlusconi) in presenza di fattispecie oggetto del procedimento penale caratterizzate dalla qualità soggettiva di Ministro o di Presidente del Consiglio, «i giudici [...] hanno comunque rimesso gli atti al tribunale dei ministri».
In ogni caso, conclude l'on. Leone, posto che «la qualifica di reato ministeriale richiede volta per volta una delicata attività interpretativa, cui l'operatore del diritto deve impegnarsi tenendo conto della fattispecie concreta, il cui approfondimento e la cui soluzione costituiscono una fase propedeutica del prosieguo del procedimento», di tale attività interpretativa da parte della Procura della Repubblica di Milano nel caso in esame «non sembra esservi traccia (almeno nelle carte trasmesse)».
Tuttavia non può in nessun modo affermarsi che la procura di Milano non abbia preso in considerazione la procedura prevista nelle sopra citati leggi. Il procuratore della Repubblica in tale frangente procedurale è un «passacarte» solo se la notizia di reato gli appare concernere la materia dell'articolo 96 Cost. (cfr. F. Posteraro, 1988, p. 100): non deve infatti dimenticarsi che al procuratore della Repubblica è riconosciuto il compito di formulare all'avvio del procedimento un preventivo inquadramento giuridico della fattispecie di reato e di compiere una preliminare qualificazione della «ministerialità» di quest'ultimo. Il procuratore della Repubblica ha dunque una «funzione fondamentale di impulso» del procedimento (così D. Cenci, Profili problematici dell'attività del pubblico ministero nei procedimenti d'accusa, in Giur. it., 1997, p. 17): in capo ad esso sussiste un «potere-dovere di formulare un preventivo inquadramento giuridico della fattispecie, con qualche effetto di vincolo - assolutamente non previsto dal legislatore, ma, in realtà, inevitabile - rispetto all'ambito d'azione» del Collegio (così A. Toschi, Commento alla l. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, in Leg. pen., 1989, p. 493; ma si vedano in tal senso anche le riflessioni di A. Cariola, La responsabilità penale del Capo dello Stato e dei Ministri: disegno costituzionale e legge di riforma, in Riv. trim. dir. pubbl., 1990, p. 48; R. Orlandi, Aspetti processuali dell'autorizzazione a procedere, Torino, 1994, p. 158; A. Ciancio, Il reato ministeriale. Percorsi di depoliticizzazione, Milano, 2000, p. 215; P. Dell'Anno, Il procedimento per i reati ministeriali, Milano, 2001, p. 148).
D'altronde, come riconosciuto dalla Corte di cassazione, da un lato «l'obbligo di trasmissione al c.d. tribunale dei Ministri degli atti concernenti i reati indicati nell'articolo 96 Cost. previsto dall'articolo 6, l. cost. del 1989 sussiste a condizione che venga ravvisata l'ipotizzabilità di un reato "ministeriale"» (Sez. VI, 6 agosto 1992, n. 3025); dall'altro, «non è configurabile alcuna competenza del [Tribunale dei Ministri], allorché non esista, nei loro confronti, una notitia criminis qualificata, nel senso che il rapporto, il referto o la denuncia dichiaratamente relativi a reati di cui all'articolo 96 Cost. ricolleghino ad essi la commissione di un illecito di rilevanza penale, la verifica della quale spetta, sotto la sua responsabilità, al p.m. pur privo, una volta che abbia ricevuto rapporto, referto o denuncia, di poteri di indagine, spettanti solo al predetto collegio» (Sez. I, 22 maggio 2008, n. 28866). Alla luce delle pronunce richiamate, si ricava che, una volta acquisita una notitia criminis da parte del pubblico ministero nei confronti del Presidente del consiglio o di un Ministro, la qualificazione circa la natura ministeriale del reato o meno spetta inderogabilmente a lui - non essendovi alcuna sentenza della giurisprudenza di legittimità di contrario avviso.
Solo nel caso in cui dall'accertamento preliminare emerga la sussistenza di un reato ministeriale, il procuratore della Repubblica è tenuto alla trasmissione al tribunale dei ministri. Evidentemente nel caso al nostro esame il procuratore della Repubblica ha escluso la sussistenza di un reato ministeriale.
In definitiva, con la decisione della procura di Milano di non inviare gli atti al tribunale dei Ministri (decisione che, come si è ampiamente dimostrato, rientrava pienamente nelle competenze della procura di Milano), non ha avuto avvio il procedimento per i reati ministeriali indicati nell'articolo 96 della Costituzione ma si è incardinato un procedimento di fronte al giudice ordinario.
Con una duplice conseguenza.
Da un lato, non è più nelle carte inviate alla Camera ai fini dell'autorizzazione a procedere (ormai ex articolo 68, secondo comma, Cost.) che la procura è tenuta a motivare la propria decisione sulla qualificazione del reato come non ministeriale, come invece sembra pretendere nel suo intervento l'on. Leone.
Peraltro, anche nel caso di una restituzione degli atti nel procedimento per i reati ministeriali, è stato autorevolmente scritto che la Giunta «può proporre di restituire gli atti all'autorità giudiziaria qualora ritenga che alla Camera non spetti deliberare sulla richiesta di autorizzazione [...], ciò sembrerebbe, solo nel caso si chieda l'autorizzazione a procedere nei confronti di soggetti che non appartengono alla Camera cui la richiesta è rivolta e non - sembrerebbe - qualora non ritenga trattarsi di reati commessi dai ministri nell'esercizio delle loro funzioni» (così L. Carlassare, Art. 96, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca-A. Pizzorusso, Bologna-Roma, 1994, p. 456, specie nt. 8).
Si deve qui contestare vibratamente anche un passaggio capzioso delle relazione di maggioranza. Essa basa la restituzione degli atti anche sulla sentenza della Corte costituzionale n. 241 del 2009 che avrebbe statuito il diritto delle Camere a un'autonoma e propria valutazione sulla ministerialità o non del reato. Si tratta - nel migliore dei casi - di un abbaglio in buona fede; altrimenti di una voluta forzatura.
Nella sentenza n. 241 del 2009 (peraltro sottoposta a severe critiche in dottrina per una certa quale ambiguità, dovuta al fatto che essa si pronunzia su un punto non richiesto dal ricorso della Camera dei deputati che aveva elevato il conflitto: E. Albanesi, La «propria» ed «autonoma valutazione» dell'organo parlamentare «sulla natura ministeriale o non ministeriale» dei reati (sent. Corte cost. n. 241/2009), in Rass. parl., 2010, n. 2, p. 459 s.); G. Tarli Barbieri, Il procedimento per i reati ministeriali a venti anni dall'entrata in vigore della legge costituzionale n. 1 del 1989, in Scritti in onore di Lorenza Carlassare: il diritto costituzionale come regola e limite al potere, Napoli, 2009, vol. II, p. 733; T.F. Giupponi, Quando la forma è sostanza: la riforma dell'articolo 96 Cost. di fronte alla Corte costituzionale e la recente prassi delle delibere parlamentari di «ministerialità», in Giur. Cost., 2009, p. 3054 ss.; G. Arconzo, A chi spetta l'ultima parola in tema di ministerialità dei reati, in Quad. cost., 2010, p. 115), la Corte costituzionale ha semplicemente stabilito che - se il tribunale dei ministri decide di archiviare il suo fascicolo «ministeriale» (vuoi perché la notizia di reato è infondata, vuoi perché concerne un reato comune e non qualificato dall'esercizio delle funzioni ministeriali) lo deve comunicare alla Camera competente, ai sensi dell'articolo 8, comma 4, della l. cost. n. 1 del 1989.
Il c.d. precedente Matteoli è quindi citato a sproposito. Il ministro Matteoli era (ed è) accusato di aver favorito illecitamente il prefetto Gallitto, indagato per corruzione, avvisandolo di essere sottoposto a controlli telefonici. L'autorità giudiziaria di Genova aveva trasmesso gli atti al tribunale dei ministri di Firenze, ai sensi dell'articolo 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989, ritenendo che il reato fosse ministeriale. Il collegio dei reati ministeriali di Firenze, viceversa, ritenne il reato comune e si spogliò della relativa competenza, archiviando il proprio fascicolo e rimettendo l'affare alla procura ordinaria (omettendo però di comunicare l'archiviazione alla Camera, ai sensi dell'articolo 8, comma 4, della medesima legge n. 1). La Camera - paradossalmente - non si lagnò di questo profilo, ma elevò un conflitto tra poteri volto a far dichiarare illegittimo l'articolo 2 della legge n. 219 del 1989, laddove questo consentiva (e consente) al tribunale dei ministri di dichiararsi incompetente per la carenza della natura ministeriale del reato.
Con la sentenza n. 241 del 2009, la Corte - vale la pena ripetere - ha rigettato questa tesi ma ha stigmatizzato il comportamento del tribunale dei ministri di Firenze che era incorso nell'omissione della comunicazione dell'avvenuta archiviazione. La Corte ha infatti stabilito che quella comunicazione è costituzionalmente dovuta. Come la dottrina ha osservato correttamente, la sentenza n. 241 del 2009 non sta affatto ai reati ministeriali come la sent. 1150 del 1988 sta all'insindacabilità ai sensi dell'articolo 68, primo comma, Cost. Essa non attribuisce alle Camere il potere di qualificare la condotta del ministro.
Quando successivamente (il 28 ottobre 2009) la Camera ha deciso ex abrupto - senza che nessuna autorità titolata lo domandasse - che i fatti attenevano alle funzioni del ministro Matteoli e ha conseguentemente denegato un'autorizzazione a procedere penalmente, la quale non era necessaria, ha quindi adottato una deliberazione giuridicamente inesistente. Il giudice procedente (a questo punto il tribunale monocratico di Livorno) ha successivamente elevato conflitto che è attualmente pendente. In conclusione, nessun giudice si è mai pronunziato circa la natura - ministeriale o meno - del reato ascritto a Matteoli.


Conclusioni. La Camera, rimettendo gli atti alla procura di Milano, non può pretendere che la competenza funzionale con riferimento al procedimento in corso si radichi in capo al tribunale dei Ministri in virtù della lesione che la pretermissione di quest'ultimo arrecherebbe alla possibilità della Camera stessa di pronunciarsi circa la natura ministeriale o non ministeriale di un reato. Da quanto esposto in nota, risulta chiaro come il «precedente Matteoli» tale non sia e non è affatto giovevole alla tesi del relatore Leone.
Peraltro, alla base della proposta dell'on. Leone sta fondamentalmente il maldestro tentativo di definire ministeriale il reato di concussione ascritto all'on. Berlusconi e quindi la contestazione del mancato riconoscimento da parte della procura di Milano di tale natura ministeriale del reato.
Si tratta di un profilo centrale nella ricostruzione compiuta dall'on. Paniz, durante il dibattito.
Sul profilo della natura ministeriale del reato si intende però in questa sede limitarsi ad alcuni brevi passaggi perché - a parte l'aspetto ridicolo del prospettare il Presidente del Consiglio incline a credere a una ragazza di dubbia reputazione che (a dire del medesimo on. Berlusconi) avrebbe detto di essere imparentata con Mubarak - come si è ampiamente ricordato, si ritiene che la competenza a valutare la natura ministeriale o non ministeriale di un reato spetti esclusivamente all'autorità giudiziaria.
L'unica considerazione che ci si limita quindi qui a fare è ribattere alla ricostruzione che l'on. Leone fa della sentenza delle Sezioni unite penali della Cassazione 20 luglio 1994, n. 14, dalla quale risultano chiari i confini della nozione di reato ministeriale ed in base alla quale l'on. Leone pretende invece di ricondurre a tale nozione il reato di concussione.
La Cassazione afferma infatti chiaramente che la Costituzione «rifiutando una specifica previsione di singole fattispecie, ha preferito far riferimento a tutte le ipotesi di reato ravvisabili nell'ambito dell'ordinamento positivo dello Stato, sicché gli elementi qualificanti della previsione sono affidati alla concorrente presenza di due circostanze: non solo la particolare qualificazione soggettiva dell'autore del reato nel momento in cui questo è commesso, ma anche l'indispensabile rapporto di connessione tra la condotta integratrice dell'illecito e le funzioni esercitate dal ministro (corsivo aggiunto). In relazione alla delimitazione di tale rapporto di connessione, una volta venuta meno, in seguito alla radicale riforma introdotta con la l. cost. 16 gennaio 1989 n. 1, l'avvertita esigenza di utilizzare criteri riduttivi per limitare l'eccezionale deroga alla giurisdizione ordinaria, è sufficiente far ricorso ai risultati interpretativi ai quali questa Corte è pervenuta in relazione a tutte quelle ipotesi di reato nelle quali la condotta incriminata richiede un rapporto di condizionalità strumentale con l'esercizio di determinate funzioni (cfr. articolo 316, 341, 362, 476, 477, 478, 479, 480, 496 e 617-ter c.p.)». Significativamente la Cassazione non include tra tali ipotesi la fattispecie della concussione ex articolo 317 c.p. («il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio, che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o in duce taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni»).
Prosegue d'altronde la Cassazione sottolineando che «nell'ambito di tutte queste numerose fattispecie si è sempre affermato che con l'espressione "esercizio delle funzioni", il legislatore ha inteso far riferimento alla competenza funzionale dell'autore del fatto, sicché il rapporto di strumentale connessione sussiste tutte le volte in cui l'atto o la condotta siano comunque riferibili alla competenza funzionale del soggetto. Da ciò discende che, così come il flesso di mera occasionalità con l'esercizio delle funzioni non può essere equiparato ad un rapporto di oggettiva connessione, altrettanto arbitrario sarebbe arricchire quel rapporto di ulteriori elementi qualificanti, come l'abuso dei poteri o delle funzioni, o la violazione dei doveri di ufficio, non richiesti dalla legge, né suggeriti da una corretta interpretazione».

Del resto, all'on. Berlusconi si contesta l'abuso della qualità, cioè del solo status soggettivo dell'essere il Presidente del Consiglio, il quale, «abusando della sua qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, avendo appreso che la minore El Mahroug Karima - da lui precedentemente frequentata - era stata fermata e condotta presso la Questura di Milano, si metteva in contatto con il Capo di Gabinetto del Questore, dr. Pietro Ostuni e (...) lo sollecitava ad accelerare le procedure per il suo rilascio (...) e, quindi induceva il dr. Pietro Ostuni a dare disposizioni (...) affinché la minore venisse affidata a Minetti Nicole (...)» integrando così un'azione delittuosa per finalità che non sono in alcun modo ricollegabili ad alcun esercizio di funzioni di governo, quali quelle esercitate (o che dovrebbero essere esercitate) dal rappresentante dell'esecutivo.
Quanto invece ai recenti precedenti della Camera dei deputati, le richieste di autorizzazione pervenute ai sensi degli articoli 96 della Costituzione e 8 della legge costituzionale n. 1 del 1989 hanno sempre avuto a che fare con atti strettamente funzionali, quali per esempio i reati contestati:

al ministro dei trasporti e delle infrastrutture Lunardi (doc. IV-bis, n. 1 - XVI legislatura), per un finanziamento concesso con decreto interministeriale;

al ministro delle politiche agricole Alemanno (doc. IV-bis, n. 1 - XIV legislatura), per la certificazione di un nuovo prodotto Parmalat (Lattefrescoblu);

al ministro dei lavori pubblici Radice (doc. IV-bis, n. 1 - XIII legislatura) per l'asserita diffamazione a carico di un sindaco nell'ambito di una polemica sul condono edilizio;

al ministro della sanità Bindi (doc. IV-bis, n. 2 - XIII legislatura), per la nomina di un commissario straordinario per un istituto di tumori a Napoli.

Nessun precedente quindi (neanche i più risalenti che qui è superfluo citare) riguarda condotte del tutto private ed estranee alle competenze specifiche del titolare del dicastero.
Al cospetto di questo panorama normativo, nella seduta del 27 gennaio 2011 è stato sostenuto che l'identità putativa di Karima avrebbe indotto il Presidente del Consiglio a intromettersi d'urgenza nella politica estera del nostro Paese, scavalcando le competenze specifiche del ministro Frattini (cosa, in ipotesi, ben possibile), per salvare le relazioni con l'Egitto, la nipote del cui Presidente era trattenuta in questura. Si è sostenuto anche che tale circostanza avrebbe dovuto essere ben presente ai magistrati che procedono.
Eppure «Ruby», nella notte del 27 maggio 2010 non fu consegnata alle autorità diplomatiche egiziane ma fu affidata al consigliere regionale Minetti. La sua presenza in questura era stata segnalata al Presidente del Consiglio non da agenti dei servizi d'informazione ma da tale Michelle Concei|fcao (donna dedita ad attività non proprio commendevoli). Inoltre, è noto ai magistrati che procedono che la giovane marocchina era una conoscente di Emilio Fede, che l'aveva sostenuta in un concorso di bellezza e che ben conosceva la sua reale identità. Risulta poi dagli atti trasmessi dalla procura che la minore abbia frequentato la casa di Arcore assiduamente tra il 14 febbraio e il 2 maggio 2010 (14, 20, 21, 27, 28 febbraio; 9 marzo; 4, 5, 24, 25, 26 aprile; 1, 2 maggio) ed è quindi da escludere che i servizi di sicurezza non l'abbiano correttamente identificata.
Ma c'è di più: nella notte del 27-28 maggio, da Letojanni (CT) la questura assunse informazioni certe sull'identità di Karima El Mahroug e comunicò a più riprese con la Presidenza del Consiglio. Nei vari contatti durati fino alle 2 di notte non può essere ritenuto possibile che il Presidente del Consiglio non sia stato informato sulla reale identità della giovane. Quindi si poteva e si può escludere la fondatezza della convinzione che la medesima fosse imparentata con il leader egiziano.
In sostanza, il Presidente del Consiglio basa la sua strategia difensiva sulla menzogna o sulla dabbenaggine e questa seconda ipotesi è peggiore della prima, come pure è stato rilevato presso la Giunta.
Ciò è confermato dal fatto che - come si evince dal secondo incartamento inviato dalla procura di Milano - la prostituta Garcia Polanco si rivolge al prefetto di Milano spendendo il nome del Presidente del Consiglio. Che questo lo sapesse o no non è stato accertato ma è assai grave e proietta una sinistra ombra sulla sua affidabilità.
Certo è però che il prefetto incredibilmente riceve la donna e manda i saluti al Capo del Governo tramite la medesima (a riprova del fatto che non poteva avere rapporti funzionali diretti con lui, senza passare per il ministro dell'interno) (l'episodio è riportato anche da Repubblica, articolo di P. Colaprico, 30 gennaio 2011, p. 15).
In conclusione, i cittadini - specie in un momento di crisi economica e occupazionale gravissima - si sarebbero aspettati di vedere le istituzioni affrontare e risolvere i problemi di un Paese in difficoltà: dalla mancanza di futuro e di certezze per i giovani e da un welfare ormai claudicante all'urgenza di riforme per modernizzare il Paese. Si trovano invece di fronte a questa girandola di serate equivoche, danaro, sesso profferto con volgarità e rapporti umani degradati. Si trovano sgomenti e destabilizzati da un Capo del Governo che (a prescindere dalle responsabilità penali) umilia il Paese e ne mette a repentaglio la reputazione internazionale.
Invito pertanto l'Assemblea a respingere la proposta della Giunta.

Marilena SAMPERI,
relatore per la minoranza.


ALLEGATO

Estratti dai resoconti della Giunta per le autorizzazioni.

Mercoledì 19 gennaio 2011.

La seduta comincia alle 9.15.

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, rappresenta che l'ordine del giorno della Giunta, nel corso delle ultime settimane, si è arricchito di numerosi casi che ne richiedono l'esame. Non solo è pendente il seguito dell'esame della richiesta d'insindacabilità dell'on. Berlusconi in relazione alla causa civile intentata dal dott. Nencini di Firenze ma sono stati assegnati alla Giunta, da parte del Presidente della Camera, i seguenti affari:
la domanda di autorizzazione a eseguire perquisizioni domiciliari nei confronti dell'onorevole Berlusconi (doc. IV, n. 13), per cui è stato nominato relatore il collega Leone;
la domanda d'insindacabilità del collega Belcastro, per cui nomina relatore il collega Paolini;
una domanda d'insindacabilità del deputato Cirielli, per cui nomina relatore il deputato Maurizio Turco;
la rinnovata domanda di autorizzazione a procedere per l'ex ministro Lunardi (doc. IV-bis, n. 2), che affida all'on. Consolo, relatore già dal primo esame in Assemblea;
la domanda di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni del deputato Landolfi (doc. IV, n. 11), per cui chiede di riferire al collega Paniz;
due domande di autorizzazione ad acquisire tabulati dei deputati Polidori (doc. IV, n. 12) e Rotondi (doc. IV, n. 14), in qualità di persone offese dal reato, per cui nomina relatore il deputato Gava;
la domanda di autorizzazione all'utilizzo di intercettazioni telefoniche dell'ex deputato Di Giandomenico (doc. IV, n. 10), per la quale si riserva di nominare il relatore.

Il Presidente della Camera ha altresì deferito alla Giunta, in via consultiva, un ulteriore affare inerente a una doglianza dell'on. Papa in materia d'intercettazioni. Su questa questione si riserva di riferire in una delle prossime sedute, attenendosi rigorosamente ai precedenti unanimemente stabiliti in passato.
Crede al riguardo che la Giunta debba darsi, per l'esame della domanda concernente la perquisizione dell'on. Berlusconi, tempi adeguati e quindi propone che sin dalla prossima settimana si prevedano sedute supplementari rispetto al consueto appuntamento del mercoledì mattina.

Maurizio PANIZ (PdL), nel concordare con le comunicazioni del Presidente, propone che per la domanda relativa alla perquisizione dell'on. Berlusconi si inizi l'esame il prossimo martedì 25 gennaio alle ore 14 e poi di verificare le disponibilità dei colleghi per il prosieguo.

Antonio LEONE (PdL) fa presente che, pur necessitando di tempo per l'ulteriore esame della documentazione e per la predisposizione della sua relazione, si adopererà per riferire nella seduta del 25 gennaio, data in cui non dovrà svolgere il turno di presidenza della seduta dell'Assemblea.

Dopo interventi dei deputati MANTINI (UdC) e CONSOLO (FLI), Marilena SAMPERI (PD) sottolinea che l'esame non può iniziare più tardi del 25 gennaio, stante il termine regolamentare di 30 giorni dall'assegnazione previsto per riferire all'Assemblea, che decorre dal 17 gennaio.

Federico PALOMBA (IdV) concorda con le comunicazioni del Presidente e considera incardinato sin da oggi l'esame della domanda concernente la perquisizione a carico dell'on. Berlusconi relativa a fatti di cospicua gravità per cui ieri sono state chieste le sue dimissioni da parte delle opposizioni.

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, prende atto degli interventi svoltisi e avverte che la domanda di autorizzazione a effettuare la perquisizione del domicilio del deputato Berlusconi sarà esaminata, con la relazione del collega Leone, a partire dalla seduta di martedì 25 gennaio 2011 alle ore 14. In tale sede potrà essere definito l'ulteriore calendario dei lavori della Giunta.

Martedì 25 gennaio 2011

La seduta comincia alle 14.05.

(Seguito dell'esame e rinvio).

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, ricorda che nella scorsa seduta si era concordato di far svolgere oggi la relazione al collega Leone. Fa presente che nel pomeriggio di giovedì l'onorevole Ghedini e il senatore Longo (difensori dell'onorevole Berlusconi) hanno depositato una memoria che è in distribuzione.
Copia delle risultanze dell'attività investigativa svolta dai medesimi difensori, depositate presso la procura della Repubblica di Milano, è stata fatta pervenire in data odierna alla Giunta. Essa è a disposizione dei componenti la Giunta.
Precisa infine che gli atti allegati alla domanda di autorizzazione sono rimasti a disposizione dei componenti per tutta la scorsa settimana, ieri e oggi e lo sono ancora. L'esame degli atti medesimi è consentito previa firma per presa visione, in presenza del personale addetto e senza possibilità di effettuare fotocopie. Crede opportuno che i componenti della Giunta si esprimano circa il regime di pubblicità cui sottoporre i documenti sull'attività difensiva pervenuti, e, in particolare, se procedere analogamente a quanto fatto con riferimento agli atti allegati alla domanda di autorizzazione.

Francesco Paolo SISTO (PdL) ritiene che la documentazione relativa alle indagini difensive svolte ai sensi degli articoli 391-bis e seguenti del codice di procedura penale, che conferiscono alle investigazioni difensive un rilievo ed una portata speculare rispetto a quelle condotte dalla pubblica accusa, debbano sottostare al medesimo regime di segretezza. Sicché crede che gli atti oggi depositati debbano essere trattati analogamente agli atti investigativi allegati alla domanda in titolo.

Donatella FERRANTI (PD), a nome del suo gruppo, stigmatizza il comportamento dei difensori del deputato Berlusconi che hanno irritualmente depositato documenti attinenti al merito della vicenda. Non crede che sia corretto trascinare l'esame della Giunta su profili di stretta pertinenza processuale, la cui valutazione deve essere rimessa all'autorità giudiziaria. Ribadito il suo imbarazzo per i contenuti della documentazione disponibile, deve però prendere atto che il deposito di tali atti è avvenuto. Si pone pertanto il problema di distinguere il divieto di pubblicazione, che si potrebbe trarre dall'articolo 114 del codice di procedura penale, dal segreto investigativo vero e proprio che non le appare sussistere. Rispetto ai compiti della Giunta, si pone in tal senso un'alternativa secca: considerare irricevibili gli atti pervenuti - e allora sarebbe superato il problema della loro consultabilità - ovvero, considerarli rilevanti. Ma in tale ultimo caso occorre che la loro fruizione per i componenti della Giunta sia piena.

Pierluigi MANTINI (UdC), premesso che la Giunta non è investita del compito né di difendere né di accusare il deputato Berlusconi, non crede sussistenti stringenti obblighi di segretezza, salvo che, in tal senso, non vengano pressanti richieste dalla parte politica dell'interessato.

Antonino LO PRESTI (FLI) rileva che, da un primo esame della documentazione oggi depositata, già si colgono alcuni spunti circa l'attività del soggetto detentore dell'immobile oggetto della richiesta di perquisizione. Crede quindi necessaria la piena fruizione degli atti da parte dei componenti della Giunta.

Luca Rodolfo PAOLINI (LNP), condivide le considerazioni del deputato Sisto, segnala tuttavia che, su internet, sono accessibili diversi passaggi degli atti investigativi allegati alla domanda di perquisizione in titolo.

Federico PALOMBA (IdV) ritiene che il deposito della documentazione relativa alle indagini difensive determini un'acquisizione degli stessi da parte della Giunta e che, conseguentemente, gli stessi debbano essere messi pienamente ai disposizione dei componenti.

Maurizio PANIZ (PdL) ritiene che, in ossequio alla prassi costantemente seguita, gli atti difensivi del deputato debbano essere messi a disposizione dei componenti della Giunta.

Armando DIONISI (UdC), concordando con quanti lo hanno preceduto, rimarca però la necessità di mantenere intatta la prassi di consultabilità riservata degli atti allegati alle richieste dell'autorità giudiziaria.

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, riassumendo i contenuti del dibattito testé svolto, osserva che l'articolo 329 del codice di procedura penale stabilisce la segretezza degli atti investigativi finché l'imputato non possa averne conoscenza, la quale, per definizione, in questo caso sussiste. Il parallelo con la disciplina processuale non è quindi risolutivo. Viceversa, la Giunta deve prendere una decisione sul piano della procedura parlamentare. In questo senso gli sembra che sia emerso dal dibattito un orientamento largamente condiviso di mettere a disposizione di ciascuno dei componenti una copia della documentazione in oggetto.

La Giunta concorda.

Antonio LEONE (PdL), relatore, rammenta che la domanda in titolo è pervenuta il 14 gennaio 2011 dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano, nell'ambito di un procedimento penale per i delitti di cui agli articoli 317, 61 n. 2, 81 capoverso e 600-bis, comma 2, del codice penale, in relazione ai locali dell'ufficio di Giuseppe Spinelli, sito in Segrate.
La Giunta per le autorizzazioni deve esaminare la richiesta ai fini della formulazione di una proposta, ai sensi dell'articolo 18 del Regolamento della Camera, di concessione o di diniego dell'autorizzazione, secondo i consueti criteri applicati per la valutazione delle suddette richieste, a cominciare dalla verifica dell'esistenza o meno del fumus persecutionis.
In questa delicata decisione, la Giunta non deve valutare la vicenda processuale nel merito (se cioè il deputato Berlusconi sia o meno colpevole o se le prove raccolte siano o meno sufficienti), poiché questa sarà materia da trattare in giudizio. In questa sede occorre per lo più fermarsi alla valutazione se, nel caso di specie, ricorrano i presupposti per concedere o negare l'autorizzazione all'esecuzione della perquisizione e se, quindi, l'esecuzione della perquisizione rischi o meno di minare quella garanzia di inviolabilità del domicilio del parlamentare e, conseguentemente, di violare quella «tutela dell'interesse del Parlamento al pieno dispiegamento della propria autonomia, esplicantesi anche nel libero esercizio del mandato parlamentare, rispetto agli altri poteri dello Stato», che la Corte costituzionale ha posto alla base dell'immunità di cui all'articolo 68, secondo comma, della Costituzione. Occorre cioè una verifica sul fatto che nell'azione della magistratura non siano ricavabili elementi di intimidazione o di persecuzione ingiusta, che si risolverebbero in una forma di pregiudizio al libero e pieno esercizio delle funzioni parlamentari.
In questo senso, non si deve trasformare la valutazione cui oggi la Giunta è chiamata in un giudizio a favore o contro Silvio Berlusconi, dovendo farla rientrare nei suoi esatti confini, che sono più generali e attengono alla tutela del mandato parlamentare di un deputato ed all'interesse istituzionale della Camera rispetto all'esercizio delle funzioni di un altro potere dello Stato. Tenendo presente che quello che la Giunta deciderà oggi, varrà anche per domani, rispetto ad altri casi che si potranno porre in futuro. Stabilire se vi sia o meno fumus persecutionis, naturalmente, implica una valutazione sulla sussistenza dei presupposti procedimentali minimi: non già una valutazione sugli elementi processuali, ma la verifica che vi siano i crismi formali e sostanziali perché l'esecuzione dell'atto non si riveli un'interferenza ingiustificata - e perciò illegittima - con l'esercizio del mandato parlamentare.
Come ha testé riferito il Presidente, è pervenuta alla Giunta una memoria da parte degli avvocati dell'onorevole Berlusconi. Con essa - oltre a ribadire, allegando ulteriori elementi documentali, la qualifica di domicilio dell'onorevole Berlusconi dei locali che si chiede di perquisire (ma la questione sembra già risolta in senso favorevole dalla procura che attesta la natura di domicilio nella stessa domanda di autorizzazione) - si pone in particolare il problema dell'incompetenza della procura di Milano. Nella mattinata di oggi sono pervenuti ulteriori atti.
In particolare, quanto al tema del domicilio ai fini della tutela ex articolo 68, secondo comma, della Costituzione, la domanda di autorizzazione ad eseguire perquisizioni domiciliari nei confronti dell'onorevole Berlusconi si riferisce ad uffici ubicati in Segrate, «dove lavora Spinelli Giuseppe»: come chiariscono i magistrati, «tre elementi appresi in data odierna fanno ritenere che i locali .... siano nella disponibilità, diretta o indiretta, dell'on. Silvio Berlusconi e come tali sottoponibili a perquisizione solo previa autorizzazione della Camera di appartenenza», ossia una targhetta esterna all'immobile n. 801 recante la scritta «segreteria onorevole Silvio Berlusconi»; il fatto che la residenza n. 802 sia sede di varie società riconducibili alla famiglia Berlusconi; il fatto che l'avvocato Ghedini ha riferito che l'immobile n. 801 è «pertinente al Presidente del Consiglio». Alla luce della giurisprudenza costituzionale, queste circostanze - rilevate dalla stessa procura - non pongono in dubbio il fatto che si rientri nei confini della tutela costituzionale del domicilio del parlamentare di cui all'articolo 68, secondo comma, della Costituzione, il quale «intende garantire al parlamentare l'inviolabilità della sua residenza ed anche di spazi ulteriori identificabili come domicilio, in vista della tutela dell'interesse del Parlamento al pieno dispiegamento della propria autonomia, esplicantesi anche nel libero esercizio del mandato parlamentare, rispetto agli altri poteri dello Stato», come stabilito dalla sentenza della Corte costituzione n. 58 del 2004. La Corte ha infatti adottato un'interpretazione ampia di domicilio, tale da escludere che vi rientri la sola abitazione e gli altri luoghi di privata dimora. In particolare, la Corte è intervenuta sul punto con la sentenza n. 58 del 2004, che risolveva a favore della Camera il conflitto di attribuzioni sollevato da quest'ultima per chiedere di dichiarare che «non spetta all'autorità giudiziaria di disporre e di far eseguire la perquisizione del domicilio del parlamentare Roberto Maroni, con il conseguente annullamento dei decreti di perquisizione locale e di sequestro ... nella parte in cui, senza autorizzazione della Camera dei deputati, si è disposta la perquisizione del locale all'interno della sede della Lega Nord di Milano nella disponibilità di Corinto Marchini, ancorché lo stesso fosse nell'effettiva disponibilità dell'on. Roberto Maroni». In tale sentenza la Corte ha considerato che la circostanza che, nel caso di specie, sulla porta di accesso ad un corridoio e ad una stanza fosse collocato un cartello con la scritta «Lega Nord - Segreteria politica - Ufficio dell'Onorevole Maroni» «segnalava ... che il locale da perquisire in quanto ufficio del Marchini era invece nella disponibilità di un deputato, onde poteva costituirne domicilio, non sottoponibile a perquisizione senza autorizzazione della Camera. In tale contesto, l'autorità giudiziaria avrebbe dovuto sospendere l'esecuzione della perquisizione e chiedere alla Camera la necessaria autorizzazione; in alternativa - ove avesse nutrito dubbi sull'attendibilità del contenuto dei cartelli - avrebbe potuto disporre gli accertamenti del caso, per eventualmente procedere contro chi quei cartelli aveva collocato». Coerentemente con questa giurisprudenza, dunque, la procura della Repubblica di Milano - nel caso oggi all'esame della Giunta - ha trasmesso la richiesta di autorizzazione ad acta e sospeso l'esecuzione della perquisizione.
Circa gli ulteriori profili evocati dalla memoria, un primo aspetto riguarda il possibile riconoscimento della qualificazione come «ministeriale» per uno dei reati per i quali la procura di Milano procede nei confronti del Presidente del Consiglio e segnatamente per il reato di concussione di cui all'articolo 317 c.p. Sulla base della normativa prevista in materia di reati ministeriali (articolo 96 della Costituzione, l. costituzionale n. 1 del 1989, legge ordinaria n. 219 del 1989), il Presidente del Consiglio ed i Ministri «per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni» sono sottoposti alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione della Camera o del Senato. In particolare, sinteticamente, si ricorda che il procuratore della Repubblica che abbia ricevuto i rapporti, referti e denunzie concernenti i reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione, è tenuto a trasmetterli al cosiddetto tribunale dei Ministri, senza compiere alcuna indagine. A sua volta tale collegio, compiute le indagini preliminari e sentito il pubblico ministero, se non ritiene che si debba disporre l'archiviazione, trasmette gli atti con relazione motivata al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente in relazione alla richiesta di autorizzazione a procedere, che può essere negata, a maggioranza assoluta dell'Assemblea interessata, ove essa reputi, con valutazione insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo. Analoga autorizzazione, nei procedimenti per i reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione, è richiesta per provvedimenti di limitazione delle libertà personali, ivi comprese le perquisizioni domiciliari. Nel caso di specie la procura di Milano non ha preso in considerazione in nessun modo tale procedura, senza quindi minimamente ipotizzare che nel caso in questione potesse trattarsi di uno dei reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione.
Come è noto, l'espressione «reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione», presente nella legge costituzionale e nella legge ordinaria, come è confermato dalla semplice lettura dell'articolo 96 della Costituzione, non rinvia ad un elenco specifico di reati, che non è contenuto nella disposizione costituzionale e che invece consentirebbe un più facile accertamento circa l'inerenza ad essi dei rapporti, referti e denunzie inviati al procuratore della Repubblica. La disposizione costituzionale indica invece una formula generale, che è quella dei reati commessi dal Presidente del Consiglio e dai Ministri nell'«esercizio delle loro funzioni». È del tutto evidente che il ricorrere di siffatta locuzione richiede volta per volta una delicata attività interpretativa, cui l'operatore del diritto deve impegnarsi tenendo conto della fattispecie concreta, il cui approfondimento e la cui soluzione costituiscono una fase propedeutica del prosieguo del procedimento e di cui però - nel caso in questione - non sembra esservi traccia (almeno nelle carte trasmesse). Eppure le ragioni che portano eventualmente l'operatore ad escludere nel caso concreto - pur in presenza della qualifica soggettiva ministeriale - la ministerialità del reato non possono non essere considerate quanto meno «utili» (ma forse addirittura essenziali) ai fini della decisione della Giunta sulla domanda di autorizzazione all'esecuzione della perquisizione, che deve anzitutto escludere la sussistenza di un qualsivoglia intento persecutorio o limitativo delle prerogative dei parlamentari interessati.
È certamente vero che la giurisprudenza ha provveduto a specificare le due circostanze indicate dalla Costituzione per riconoscere la ministerialità di un reato, e cioè la qualificazione soggettiva dell'autore del reato, al momento della sua commissione, ed il rapporto di connessione tra la condotta integratrice dell'illecito e le funzioni esercitate dal Presidente del Consiglio o dal Ministro. Il ricorrere però del suddetto rapporto di connessione, non essendo riducibile ai soli «provvedimenti» formali assunti dal soggetto nell'ambito della sua competenza (v. le Sezioni unite penali della Cassazione, sentenza n. 14 del 1994), comporta inevitabilmente un'attività di accertamento approfondito e complesso tra la condotta asserita come illecita ed il collegamento con le funzioni governative. Di tali ragionamenti non è traccia nella richiesta trasmessa, né emersione negli atti d'indagine: ciò, nonostante la concussione sia, come è noto, reato proprio - in cui cioè la qualificazione soggettiva dell'autore è elemento essenziale della fattispecie - e che la stessa sia stata rinvenuta dai magistrati procedenti nella qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri ricoperta da Berlusconi.
Altre volte peraltro i giudici, in presenza di tale qualità soggettiva, hanno comunque rimesso gli atti al tribunale dei Ministri, perché questa circostanza, suscettibile di modificare la competenza, fosse preventivamente valutata da quest'ultimo: in proposito richiama il recentissimo precedente Matteoli, di cui la Giunta si è occupata anche in questa legislatura ed in cui la procura della Repubblica di Firenze, «previa formulazione delle imputazioni, omessa ogni indagine», aveva rimesso il 12 gennaio 2005 gli atti al locale Collegio per i reati ministeriali, che poi escluse la ministerialità. Nella memoria difensiva si richiama anche il recente precedente della procura di Trani, che - il 19 marzo 2010 - ha trasmesso al tribunale dei Ministri gli atti relativi ad un procedimento per concussione nei confronti del Presidente del Consiglio, rimettendo ad esso «la corrispondente delibazione», essendosi posto un dubbio sulla configurabilità del reato come ministeriale: la procura ritiene che le norme vigenti «lascino intendere che la valutazione in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti commessi spetti con precedenza al tribunale dei Ministri».
Che la competenza primaria a qualificare come ministeriale il reato sia essenzialmente attribuita dalla legge al tribunale dei Ministri lo si ricava anche dall'articolo 2 della legge ordinaria n. 219 del 1989, laddove contempla espressamente, tra i diversi sbocchi dell'attività di indagine del tribunale, la conclusione che «il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione», con questo evidentemente ammettendo la competenza sull'accertamento del requisito della ministerialità. Ciò quanto meno per i fatti per i quali sussista un ragionevole dubbio circa il ricorrere di questo requisito: e gli sembra di poter dire che, nel caso in questione, il ragionevole dubbio è dato proprio dal tipo di reato contestato che presuppone l'esercizio di una pubblica funzione, anche se con abuso dei poteri o della qualità di pubblico ufficiale. Peraltro, l'attivazione della procedura di rimessione al tribunale dei Ministri ha, nella sistematica del procedimento, la funzione di garantire l'interesse costituzionalmente tutelato delle Camere ad operare un'autonoma valutazione sulla ministerialità del reato rispetto a quella operata dalla magistratura, garanzia che è totalmente esclusa se quel tribunale non venga attivato. Come è noto, infatti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 241 del 2009, ha espressamente riconosciuto a favore delle Camere «un interesse costituzionalmente protetto ad essere tempestivamente informata, per via istituzionale ed in forma ufficiale, dell'avvenuta archiviazione, come prescrive, senza eccezioni, il citato comma 4 dell'articolo 8 della legge costituzionale n. 1 del 1989. Tale comunicazione è, del resto, l'unico strumento che consente alla Camera stessa di apprezzare che si tratta di archiviazione che non implica una chiusura, ma, al contrario, un seguito del procedimento per diversa qualificazione giuridica del fatto di reato e così di esercitare, al riguardo, i propri poteri. All'organo parlamentare, infatti, non può essere sottratta una propria, autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria, né tantomeno - ove non condivida la conclusione negativa espressa dal tribunale dei Ministri - la possibilità di sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, assumendo di essere stata menomata, per effetto della decisione giudiziaria, della potestà riconosciutale dall'articolo 96 Cost.» Tale interesse quindi risulta tutelato solo se sia il tribunale dei Ministri ad intervenire per la valutazione della ministerialità e risulta invece privo di tutela quando procede direttamente l'autorità giudiziaria ordinaria. In quest'ultimo caso la Camera sarebbe privata della stessa possibilità di operare quella sua autonoma valutazione sulla ministerialità del reato che proprio la Corte ha ritenuto spettare ad essa, ex articolo 96 della Costituzione.
Soggiunge che la posizione del Presidente del Consiglio, quanto all'esercizio di funzioni e competenze ed alla eventuale commissione di reati nell'esercizio di queste, è del tutto peculiare e presenta degli evidenti caratteri di specificità. Non si può ignorare, infatti, che le funzioni essenziali del Presidente del Consiglio - a parte cioè quelle che l'ordinamento rimette alla sua diretta responsabilità - sono funzioni di direzione della politica generale del governo, di cui è responsabile, e di mantenimento dell'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei Ministri. Si tratta di funzioni e competenze che presentano, per certi versi, contorni sicuramente meno netti di quelle che possono essere identificate in capo ai singoli Ministri, che sono gli organi di vertice di apparati amministrativi. Ma se si fa affidamento solo su quest'ultimo criterio per individuare i reati ministeriali, è evidente che si rischia di ridurre considerevolmente per il Presidente del Consiglio, che non è collocato a capo di uno specifico Ministero, la possibilità di avvalersi, nell'esercizio del suo delicato ruolo di direzione della politica di governo e di mantenimento dell'unità d'indirizzo, della prerogativa di cui all'articolo 96 della Costituzione, finendo per ammettere una conclusione paradossale: una minore tutela del Presidente del Consiglio rispetto ai singoli Ministri, in rapporto ai quali egli è però primus inter pares.
A ciò si aggiunga che la «giurisprudenza parlamentare», molto recentemente, con la deliberazione assunta nella seduta della Camera del 28 ottobre 2009 (caso Matteoli) ha riconosciuto la sussistenza della ministerialità anche nei casi in cui un Ministro interloquisca con autorità amministrative incardinate presso dicastero diverso da quello da lui diretto (nel caso di specie si trattava del Ministro dell'ambiente che aveva interloquito con un prefetto). Considerata la rilevanza delle prassi e dei precedenti nella vita parlamentare - e per evidenti esigenze di tutela della parità di trattamento di situazioni analoghe - è chiaro che questo dato non può essere oggi trascurato: nel caso di specie sembra sussistere infatti una relazione intersoggettiva del tutto analoga.
Con riferimento allo specifico reato contestato (la concussione), non appare elemento risolutivo per escluderne la ministerialità la circostanza che la concussione stessa deve essere compiuta dal pubblico ufficiale «abusando della sua qualità o dei suoi poteri» (così recita il codice penale): anzi, proprio dalla giurisprudenza della Cassazione si desume che l'abuso dei poteri o delle funzioni possono essere uno degli elementi ricavabili in via interpretativa per riconoscere la ministerialità di un reato. La Cassazione, infatti, con la sentenza n. 14 del 1994, nell'escludere la correttezza di un'interpretazione che richieda necessariamente l'abuso di potere per riconoscere la ministerialità di un reato (nell'escludere cioè che per aversi reato ministeriale debba esservi necessariamente l'abuso di potere), conferma comunque che l'abuso di potere può essere uno dei casi nei quali riconoscere che il fatto è stato commesso nell'esercizio di funzioni di governo, conseguentemente assumendo natura ministeriale.
Deve altresì esprimere ulteriori dubbi sulla competenza territoriale. In base all'articolo 317 c.p. il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente a lui o ad un terzo denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni. Nel caso di specie, risulta agli atti d'indagine che l'asserita condotta materiale sarebbe stata posta in essere dall'on. Berlusconi sul capo di gabinetto del Questore di Milano, dott. Ostuni, cui egli avrebbe telefonato nella notte fra il 27 e il 28 maggio 2010.
Le carte trasmesse dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano indicano il comportamento materiale integrativo del reato nel fatto che l'on. Berlusconi si sia messo in contatto con il Capo di Gabinetto del Questore per sollecitarlo «ad accelerare le procedure» per il rilascio della minore fermata presso la questura di Milano.
La «pressione» asseritamente esercitata da Berlusconi su Ostuni si suppone abbia determinato quest'ultimo ad attivarsi conseguentemente, previe rassicurazioni in tal senso fornite allo stesso Presidente del Consiglio, secondo quanto emerge dal verbale di assunzione di informazioni del 30 ottobre 2010.
Secondo la ricostruzione dei magistrati, in sostanza, la concussione si sarebbe consumata con l'induzione - nei confronti del dott. Ostuni - ad accelerare le procedure per il rilascio della minore, ciò che costituirebbe l'\`utilità' della concussione. Ne consegue che l'asserita concussione si sarebbe consumata con la telefonata dell'on. Berlusconi e la rassicurazione a lui offerta - per telefono - dal dottor Ostuni.
Ora, risulta dal verbale di assunzione di informazioni rese il 30/10/2010 dal dott. Ostuni (allegato alla domanda di autorizzazione ad acta) che questi ricevette la telefonata del Presidente del Consiglio «... intorno alle 23.00/23.15 del 27/5/2010», mentre si trovava a letto. Risulta - secondo gli atti - che la cella telefonica agganciata dal cellulare sia quella di Sesto San Giovanni. La concussione dunque - se quanto riportato nei verbali fosse corrispondente al vero - si sarebbe consumata in un luogo (Sesto San Giovanni) non compreso nella competenza territoriale del tribunale di Milano, ma assegnato alla competenza del tribunale di Monza.
Né - alla luce di quanto detto - rileva il fatto che a sua volta il dott. Ostuni abbia successivamente interloquito con la funzionaria di turno in Questura, questa sì a Milano, cui comunicava le «disposizioni ricevute».
Insomma, anche ove fosse esclusa la competenza del tribunale dei Ministri (in difetto della ministerialità del reato), si porrebbero comunque dubbi sulla competenza territoriale, che sembrerebbe non essere stata rispettata, almeno per quanto riportato nelle stesse carte trasmesse dalla procura.
Infine il dato che, se quanto riferito dai giornali fosse vero, la procura sarebbe intenzionata a chiedere il giudizio immediato ai sensi dell'articolo 453 c.p.p., il cui presupposto è l'evidenza della prova: la domanda di autorizzazione alla perquisizione potrebbe apparire quindi - nella stessa strategia dell'accusa - atto istruttorio sostanzialmente inutile, se non addirittura provocatorio alla luce della superfluità della perquisizione implicitamente riconosciuta dagli stessi pubblici ministeri.
Conclusivamente, ha ricavato l'impressione che non possa escludersi - alla luce dell'omissione di qualsivoglia argomentazione circa la non ministerialità del reato ed alla luce dei difetti di competenza territoriale rinvenibili agli atti, oltre che alla luce delle valutazioni che ho fatto sulla effettiva utilità della perquisizione (giudizio questo, mi rendo conto, di mero fatto) - un intento persecutorio della procura. Tale valutazione a suo avviso non può prescindere dai precedenti rapporti fra il deputato Berlusconi e la procura, che definire burrascosi è forse un eufemismo: non ha bisogno di ricordare le dichiarazioni rese negli anni passati alla stampa, ma richiamate anche nel dibattito politico-parlamentare, essendo quello della contrapposizione dell'on. Berlusconi alla magistratura da lui ritenuta \`politicizzata' - che avrebbe accettato di divenire strumento di lotta politica - un tema ricorrente nelle opinioni espresse dall'on. Berlusconi da molti anni, con particolare riferimento ai magistrati della procura di Milano. La preoccupazione che vi possa essere da parte dei magistrati di quella procura un intento ritorsivo, se non persecutorio, nei suoi confronti - ossia un vero e proprio fumus persecutionis - non sembra facilmente fugabile ed anzi sembra rafforzarsi alla luce delle criticità testé illustrate. Di questa preoccupazione si deve tener conto nella valutazione della richiesta: ove ve ne fosse bisogno, aggiunge che generalmente la Camera si è orientata nel senso del diniego dell'autorizzazione all'esecuzione delle perquisizioni, fattispecie pure non frequentissima (v. casi riguardanti l'on. Tabacci, 17 giugno 1993; l'on. Fortunato, 15 luglio 1993; l'on. Di Giuseppe, 23 settembre 1993; l'on. Romano, 27 maggio 1993). Ciò starebbe a significare che l'eventuale concessione assumerebbe in questo caso un connotato di evidente incoerenza rispetto ai precedenti parlamentari finora verificatisi. Queste ragioni lo inducono a proporre il diniego dell'autorizzazione.

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, avverte che - se nessuno chiede di intervenire sin d'ora - il seguito dell'esame è rinviato alla seduta di domani alle 14.
(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 15.05.

Mercoledì 26 gennaio 2011

La seduta comincia alle 14.20.

(Seguito dell'esame e rinvio).

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, avverte che poco prima delle 14 il Presidente della Camera ha trasmesso un provvedimento di integrazione della domanda di autorizzazione in titolo, pervenuto alla Camera dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano poco dopo le 13,30. Pur non avendo ancora potuto esaminare tali atti, ritiene che una cognizione degli stessi da parte dei componenti sia indispensabile ai fini del prosieguo dei lavori, non fosse altro perché in essi si fa riferimento a nuovi elementi di prova emersi a seguito di perquisizioni effettuate lo scorso 14 gennaio presso il domicilio di soggetti indicati nella domanda originaria.
Propone che il seguito dell'esame sia rinviato a domani mattina alle ore 10. Nel pomeriggio di oggi, copie numerate della nuova documentazione saranno poste a disposizione dei componenti fino alle ore 24 e poi domattina, secondo le modalità già stabilite con riferimento agli allegati pervenuti alla Giunta il 17 gennaio 2011.

Maurizio PANIZ (PdL), nel lamentare la diffusione alla stampa della notizia circa l'assegnazione dei nuovi documenti prima ancora che ciò fosse reso noto alla Giunta, crede comunque possibile il prosieguo dell'esame della domanda in titolo secondo le modalità già concordate nella seduta di ieri. Non vede ostacoli a che si pervenga anche alla sua conclusione, eventualmente anche dopo una sospensione dovuta ai lavori pomeridiani dell'Assemblea, dopo i quali la seduta della Giunta potrebbe riprendere.

Pierluigi MANTINI (UdC), nel condividere la proposta del Presidente circa il rinvio del seguito dell'esame, si dice pronto a prendere visione degli atti non appena le copie saranno disponibili.

Marilena SAMPERI (PD) condivide anch'ella la proposta del Presidente, sottolineando come la piena cognizione delle nuove risultanze istruttorie sia necessaria ai fini del prosieguo del dibattito.

Federico PALOMBA (IdV) ritiene che la trasmissione di nuovi atti da parte della procura di Milano sia un atto di riguardo nei confronti della Giunta, che viene così messa in condizione di disporre di documentazione ulteriore.

Maurizio PANIZ (PdL), parlando per una precisazione, esprime perplessità sulla circostanza che sia stata proprio la Presidenza della Camera a dare la notizia dell'arrivo della nuova documentazione dalla procura di Milano. A proposito della riservatezza degli atti, ricorda che, per tutelare il proprio gruppo, nelle giornate del 17 e del 18 gennaio ha chiesto ai colleghi appartenenti al PdL di non esaminare la documentazione depositata dalla procura al fine di escludere in radice qualunque addebito di responsabilità.

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, deve rimarcare che non vi è stata alcuna scorrettezza nei confronti della Giunta per le autorizzazioni. Il Presidente della Camera ha immediatamente assegnato la nuova documentazione alla Giunta stessa, compiendo un atto tanto dovuto quanto pubblico per definizione. Viceversa, la riservatezza riguarda esclusivamente i contenuti della documentazione, i quali non sono stati in alcun modo indebitamente divulgati. Sottolinea poi che il comunicato della Presidenza della Camera è stato diramato in un orario in cui la seduta avrebbe dovuto essere iniziata e, quindi, quando verosimilmente la comunicazione in Giunta avrebbe dovuto essere già avvenuta.

Antonino LO PRESTI (FLI) deve osservare che il 17 e il 18 gennaio scorsi ha dovuto consultare gli atti in un contesto di rigorose cautele predisposte dal Presidente della Giunta, sotto il diretto controllo del personale a essa addetto. Non ritiene pertanto pertinenti le allusioni che ha colto nelle parole del collega Paniz, in ordine alle presunte responsabilità sulla diffusione dei relativi contenuti. In proposito precisa anzi che gli risulta che una copia degli atti sia stata irritualmente data al relatore.

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, nel pregare i componenti di mantenere un contegno calmo e responsabile, deve far presente al collega Lo Presti che una copia del materiale di cui si tratta è stata da lui semplicemente messa a disposizione del relatore in considerazione della natura e della complessità degli atti e che di tale scelta intende assumersi ogni responsabilità: esclude che il relatore o un qualsiasi altro componente possa essere venuto meno all'affidamento reciproco in ordine al trattamento della documentazione nel possesso della Giunta.
Se non vi sono obiezioni, rinvia il seguito dell'esame alla seduta che convoca sin d'ora per domani, giovedì 27 gennaio 2011, alle ore 10, precisando che tra breve saranno disponibili le copie del nuovo materiale. Le medesime saranno lasciate a disposizione per la consultazione dei componenti secondo le modalità già indicate. Precisa che, secondo la prassi costantemente seguita dalla Camera, sarà data pubblicazione anche all'atto di trasmissione della documentazione integrativa, sottoscritto dal procuratore della Repubblica di Milano (ciò che originerà un nuovo documento parlamentare, il doc. IV, n. 13-bis, comprensivo dei contenuti del doc. IV, n. 13).
(Così rimane stabilito).

La seduta termina alle 14.50.

Giovedì 27 gennaio 2011

La seduta comincia alle 10.05.

(Seguito dell'esame e conclusione).

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, ricorda che nella seduta di ieri si era concordato di rinviare la discussione a stamane, per consentire ai componenti di consultare la documentazione integrativa pervenuta. Rammenta altresì che il collega Leone ha proposto il diniego dell'autorizzazione. Fa presente che nel tardo pomeriggio di ieri l'on. Ghedini e il sen. Longo (difensori dell'on. Berlusconi) hanno depositato un'ulteriore nota che è in distribuzione.

Antonio LEONE (PdL), relatore, illustra di aver preso cognizione della documentazione pervenuta ieri, che ritiene relativa essenzialmente alla posizione di Nicole Minetti e ininfluente rispetto alle considerazioni svolte nella relazione inerenti alla domanda di perquisizione, le quali quindi non crede di dover modificare.

Pierluigi MANTINI (UdC) soffre il disagio di dover affrontare questioni legate a fatti di così rilevante gravità. Dettosi culturalmente lontano non solo dagli ambienti sottoposti all'attenzione della Giunta ma anche dai difensori dell'on. Berlusconi, d'altronde non intende fare le funzioni della pubblica accusa. Tuttavia dovrà soffermarsi su taluni aspetti di merito per confutare gli argomenti del relatore, cui pure dà atto di aver svolto il suo compito con pacatezza e sobrietà. Ma proprio l'incedere cauto e ragionato della relazione che ha ascoltato stride con la proposta conclusiva della relazione, che finisce per ricavare il fumus persecutionis da elementi che possono tutt'al più ingenerare dubbi interpretativi ma non certo sospetti di uso improprio dei poteri degli inquirenti per causare un ingiusto danno al Presidente del Consiglio. Quei dubbi dovrebbero trovare la loro soluzione presso le competenti sedi giurisdizionali e non presso la Giunta. Deve quindi ribadire la sua condanna morale per l'accaduto, che fa necessariamente parte del giudizio politico complessivo sulla condotta dell'on. Berlusconi, che egli vede anche esposto a ricatti di vario genere e causa di discredito internazionale per il Paese.
Venendo più specificamente ai nodi tecnici affrontati nella relazione, si sofferma in via preliminare sulla qualificazione come domicilio di un parlamentare delle porzioni immobiliari designate con i numeri 801 e 802 di Residenza Parco in Segrate. Dal testo stesso della domanda in titolo si capisce che l'unità immobiliare contrassegnata dal numero 802 è la sede di società commerciali e quindi è sicuramente da escludere la copertura dell'articolo 68, secondo comma, della Costituzione. Quanto all'interno 801, definito 'pertinenza del Presidente del Consiglio dei Ministri', rileva che due atti istruttori inducono a concludere che non vi si svolga oggi né vi si sia svolta in passato attività politico-parlamentare. In un'intercettazione telefonica, riportata alla pagina 273 dell'incartamento, il ragionier Spinelli interloquisce con la signora Garcia Polanco e le fa presente che vi è stato un errore nei pagamenti dei canoni locatizi delle residenti a via dell'Olgettina; il medesimo Spinelli, in un interrogatorio nelle indagini difensive, ammette di non aver mai seguito l'attività politica e istituzionale del Presidente Berlusconi. Ne trae che nell'ufficio indicato nella domanda di perquisizione evidentemente si ordinano i pagamenti per le ragazze e si seguono aspetti di gestione immobiliare, ivi comprese - deve suo malgrado precisare - porzioni edilizie nelle quali la polizia ha rinvenuto cospicui quantitativi di droga. Se davvero le sedi in questione fossero destinate originariamente a scopi istituzionali, l'uso concreto che se ne fa sarebbe penalmente illecito. Puntualizzato che tutta la disciplina del domicilio del parlamentare dovrebbe essere oggetto di rivisitazione per evitare imbarazzanti qualificazioni ex post, non crede sufficiente la copia della comunicazione resa da un collaboratore dell'on. Berlusconi nel 2004, al Presidente della Camera Casini, in cui si indicava genericamente come domicilio del Presidente del Consiglio un luogo in Segrate, senza specificare il numero civico. Tanto più che tale comunicazione non è riferibile alla legislatura in corso.
Quanto alla tematica, evocata nella relazione, della \`ministerialità' del preteso reato, rimarca che i precedenti addotti dai difensori dell'on. Berlusconi sono per un verso inutili e per l'altro controproducenti. Il caso relativo al decreto di archiviazione del tribunale dei Ministri di Roma n. 1 del 2008 ha a che fare con decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri in materia di personale dei servizi di informazione: si tratta all'evidenza di un'ipotesi di responsabilità ministeriale propria. In secondo luogo, il provvedimento del pubblico ministero di Trani che trasmette gli atti al tribunale dei Ministri di Roma per una fattispecie similare a quella oggi in discussione è motivato in un modo talmente perplesso e contraddittorio da non giovare alla tesi esposta. Quanto invece ai precedenti della Camera dei deputati, ricorda che si è sempre trattato di atti strettamente funzionali, quali per esempio i reati contestati al collega Lunardi (doc. IV-bis, n. 1 - XVI legislatura); Alemanno (doc. IV-bis, n. 1 - XIV legislatura); Radice (doc. IV-bis, n. 1 - XIII legislatura) e Bindi (doc. IV-bis, n. 2 - XIII legislatura). Da un punto di vista di politica generale, osserva che tra le funzioni proprie del Presidente del Consiglio non rientra né la prostituzione minorile, né l'attività di concussione. D'altronde, insistere sulla natura ministeriale della concussione finalizzata a celare la prostituzione minorile sarebbe insultante per la dignità intellettuale della Giunta, aberrante e scandaloso.
Quanto al profilo della competenza territoriale, non dubita che questa si radichi in Milano, giacché l'evento profittevole per il preteso concussore si è verificato in tale città. D'altra parte, è nella questura di Milano che si sono svolti i frenetici contatti nella notte tra il 27 e il 28 maggio 2010 che poi hanno portato alla consegna della giovane Karima alla signora Minetti.
Conclusivamente, ribadisce che l'unità immobiliare n. 802 non è domicilio del parlamentare e quindi la relativa perquisizione non richiede una previa autorizzazione; per il resto non ravvisa elementi persecutori e quindi voterà contro la proposta del relatore.

Federico PALOMBA (IdV) ha letto con scrupolosa attenzione la memoria del collega Ghedini e l'ulteriore documentazione da lui versata alla Giunta; ha sentito anche la relazione dell'on. Leone. Non ne è rimasto affatto convinto. Per dignità della funzione di parlamentare evita di dilungarsi sugli aspetti avvilenti per la dignità delle persone che emergono dalla vicenda che qui si sta considerando. Sperava che l'on. Berlusconi si dimettesse ed evitasse questo disdoro. Così non è stato e quindi si attiene agli aspetti tecnici, anche per rispetto del relatore e del lavoro da lui svolto seppure da lui non condiviso soprattutto nella conclusione sulla sussistenza del fumus persecutionis. Quanto alla nozione del domicilio, i difensori allegano documentazione fotografica volta a dimostrare che lo studio del dott. Spinelli è effettivamente il domicilio del deputato Berlusconi. Si tratta evidentemente di una finta prova. Non crede infatti che lo studio di un collaboratore sia automaticamente anche domicilio del parlamentare. La sentenza della Corte costituzionale n. 58 del 2004 - pure citata dal relatore - chiarisce che è domicilio il luogo rispetto al quale si ponga un'esigenza di tutela dell'autonomia del Parlamento. È assodato infatti che l'immunità del domicilio del parlamentare di cui all'articolo 68, secondo comma, della Costituzione è una proiezione dell'immunità della sede delle Camere prevista dall'articolo 62 del Regolamento della Camera (e dal corrispondente articolo 69 del Regolamento del Senato) e riconosciuta nella sentenza della Corte costituzionale n. 231 del 1975. Non crede proprio che lo studio del cosiddetto tesoriere di Arcore, a Segrate, possa considerarsi una proiezione delle sedi in cui si svolge attività parlamentare costituzionalmente tutelata.
Questo argomento gli sembra sia rafforzato da un atto depositato dal collega Ghedini. Si tratta della deposizione - raccolta ai sensi dell'articolo 391-bis del codice di procedura penale - dello stesso Spinelli che dichiara testualmente: «Ho cominciato a lavorare per lui dall'inizio di novembre 1978 inizialmente in qualità di controllo interno contabile, poi passai in Fininvest fino al 1994. Quando il Presidente Berlusconi è entrato in politica, sono passato alle società che fanno capo al dr. Berlusconi. Mi occupo anche sovente di questioni economiche private del Presidente che mi vengono da lui affidate».
Da questo passaggio si evince chiaramente che il dott. Spinelli non è affatto un segretario politico di Berlusconi ma è una sorta di tesoriere, con compiti commerciali e contabili per le sue esigenze private. Nei suoi uffici quindi è assai arduo rinvenire tracce di attività politico-parlamentare. Le nuove carte giunte ieri, sfrondate di quanto riguarda il processo e non la Giunta dimostrano la necessità o almeno l'utilità della perquisizione presso l'ufficio-paga di Spinelli, anche per riscontro con gli elementi documentali acquisiti nelle altre perquisizioni. Dovrebbe essere interesse anche della difesa esprimersi per l'autorizzazione dell'atto di cui si discute. Sotto questo aspetto, non si opporrebbe a una restituzione degli atti alla procura di Milano per incompetenza della Camera a deliberare su un luogo privato.
Quanto poi all'eccezione d'incompetenza territoriale, si tratta evidentemente di un profilo sottratto alla decisione della Giunta. È un'eccezione processuale che potrà essere sollevata nelle sedi giudiziarie proprie e che non può influire sulle nostre decisioni.
Ad ogni buon conto, precisa che il reato di concussione si consuma nel momento e nel luogo in cui si ha la promessa o la dazione dell'indebito vantaggio. È chiaro che, in questo caso, il connotato indebito del vantaggio e il suo ottenimento sono maturati a Milano. La giurisprudenza consolidatasi più di recente afferma che, se alla promessa segue effettivamente la dazione dell'utilità, il momento consumativo si sposta in avanti. Ciò tanto più se l'utilità consiste - non nel danaro o in un altro bene che è nell'esclusiva disponibilità della persona immediatamente concussa ma - invece nell'esito favorevole per il concussore di un procedimento più complesso, allo svolgimento del quale concorrono più protagonisti e fattori. È per questo che la giurisprudenza parla al riguardo anche di fattispecie a formazione progressiva.
Questo orientamento è confermato dalla Cassazione nella sentenza della VI sezione del 26 settembre 2007 n. 2142, conforme a diversi precedenti, che ha ormai chiarito che il reato di concussione è perfetto anche quando il concusso si limita a promettere l'utilità cercata dal concussore; il momento consumativo - tuttavia - si sposta in avanti e si compie al momento della dazione se questa in effetti sopravviene. In sostanza, il metus publicae potestatis, che perdura e che consente al concussore di ottenere il vantaggio indebito, porta avanti il momento consumativo del reato.
Del resto, la manualistica corrente conosce la diversità fra la perfezione del reato e la sua definitiva consumazione, che certamente, in questo caso, è avvenuta a Milano.
Quanto poi al tema dei reati ministeriali, ritiene che la difesa dell'on. Berlusconi l'abbia avanzata per scrupolo difensivo ma senza crederci più di tanto. Né lo persuade il pur dotto intervento del collega Leone. La concussione qui è contestata non per l'abuso delle funzioni o dei poteri ma per l'abuso della qualità. E diversamente non poteva essere. Nell'indurre la questura di Milano a rilasciare la giovane marocchina, l'on. Berlusconi non ha strumentalizzato o distorto alcuna delle sue tipiche funzioni.
Le funzioni del Presidente del Consiglio sono descritte anzitutto nell'articolo 95, primo comma, della Costituzione e consistono nel dirigere la politica nazionale e nel mantenere l'unità dell'indirizzo politico e amministrativo attraverso il coordinamento e la promozione dell'attività dei Ministri.
La legge n. 400 del 1988 non prevede altre specifiche funzioni che non siano attinenti alla responsabilità per il regolare e ordinato funzionamento della Presidenza del Consiglio.
Altre funzioni sono previste in materia di protezione civile e di servizi d'informazione e di sicurezza dello Stato. In questo caso nessuna di queste specifiche funzioni è interessata.
Né si può sostenere che il Presidente del Consiglio assommi in sé le funzioni di tutti i dicasteri, giacché altrimenti non avrebbe senso distinguere i Ministri con e senza portafoglio e non si comprenderebbe per quale motivo esista l'istituto dell'interim.
Il collega Ghedini offre due precedenti, nessuno dei quali fa al caso dell'assistito.
Ve n'è uno che riguarda la trasmissione da parte del pubblico ministero di procura ordinaria al tribunale dei Ministri di Roma per fatti attinenti ai servizi segreti. E quindi il preteso reato era certamente ministeriale ma per nulla assimilabile all'attuale.
L'altro caso riguarda la tristemente famosa telefonata di Berlusconi al dott. Innocenzi per cercare di influire sulla trasmissione Annozero. Ebbene, in questo caso la procura ordinaria di Trani trasmise gli atti al tribunale dei Ministri. Ma lo fece con una motivazione perplessa e quasi suicida, riconoscendo esplicitamente che - se si fosse attenuta ai criteri dettati dalle Sezioni unite penali del 1994 - avrebbe dovuto trattenere per sé il fascicolo. D'altronde, la Cassazione, nella sentenza del 6 agosto 1992 ha stabilito che il pubblico ministero non ha l'obbligo di trasmettere gli atti al Collegio per i reati ministeriali se non quando abbia la certezza o - almeno - il fondato dubbio che si tratti di un reato ministeriale. Non v'è quindi in questo caso alcuna pregiudizialità. Tale orientamento è consolidato nella giurisprudenza della Corte di cassazione anche alla luce della sentenza della sezione I 22 maggio 2008, n. 28866.
L'on. Ghedini si guarda bene dal citare i due precedenti fondamentali della Cassazione. Quello - per l'appunto - su De Lorenzo delle Sezioni unite del 1994; e quello su De Michelis del 1998 dal quale si capisce con chiarezza che per esservi reato ministeriale occorre un atto compiuto nell'esercizio delle funzioni proprie del dicastero di riferimento.
La sentenza delle Sezioni unite del 1994 è esplicita nell'affermare che occorre un nesso oggettivo di strumentalità e non è sufficiente la mera occasionalità del rivestire la carica rispetto al fatto, mancando tale nesso non v'è neppure l'obbligo di trasmettere gli atti al tribunale dei ministri. Lo stesso principio è affermato la sentenza De Michelis del 1998, laddove essa sostiene che i fatti corruttivi ascritti all'ex Ministro degli esteri attenevano a lavori pubblici (autostrade ed altre opere) e non agli ambiti sui quali egli aveva titolo ad intervenire.
Del resto, ciò è confermato dal precedente freschissimo di Lunardi, imputato per un decreto interministeriale di finanziamento a Propaganda fide. Nella XIV legislatura si ebbe il caso del ministro delle politiche agricole Alemanno per una certificazione relativa al cosiddetto Lattefresco BLU della Parmalat: anche qui atti pertinenti ad ambiti di specifica competenza.
Si può inoltre ricordare, a contrario, «il classico» del caso Andreotti, nella seduta del Senato del 13 maggio 1993. L'on. Andreotti era imputato per fatti attinenti alla linea politica della Democrazia Cristiana (e, in particolare, di alcuni suoi esponenti siciliani a lui legati) avvenuti quando era Presidente del Consiglio. In quel caso, nessuno, nemmeno lui, sollevò la questione della \`ministerialità'. Cita, per chiarezza, quanto affermò lo stesso Andreotti nella seduta: «i miei colleghi di Governo e io non ignoravamo i rischi e le possibili reazioni in una linea di politica di contrasto vero e non declamatorio (della mafia)». In sostanza, pur essendo lato sensu politico, l'asserito concorso in associazione per delinquere del sen. Andreotti (da cui poi è stato in parte dichiarato assolto), non era ministeriale.
Quanto alla dottrina, cita tra i tanti il manuale di Temistocle Martines, secondo cui il reato è ministeriale quando è commesso in occasione e a causa dell'esercizio delle proprie funzioni e abusando del potere conferito. Citare poi il caso Matteoli è un fuor d'opera perché la Corte costituzionale non ha mai detto che il reato ascritto a Matteoli era stato commesso nell'esercizio delle sue funzioni.
Le questioni sopra trattate sono sorprendentemente ed inopinatamente assunte nella relazione quali elementi sintomatici della sussistenza del fumus persecutionis. Perciò potrebbe limitarsi a dire che la loro insussistenza determina anche quella della volontà persecutoria. Osserva anche che uno dei due uffici che l'autorità giudiziaria intende perquisire è sicuramente estraneo alle funzioni politico-parlamentari dell'on. Berlusconi. Nondimeno, l'autorità giudiziaria ha chiesto l'autorizzazione ex articolo 68, secondo comma, della Costituzione per lealtà istituzionale e per senso di estremo garantismo. Tale elemento esclude ancor più qualsiasi intento persecutorio; affermarlo con un atto politico quale la delibera della Camera risulterebbe un ennesimo atto di guerra politica contro la magistratura per gli atti del procedimento, che parlano da soli.
A ogni modo preannunzia - ove fosse necessario - la presentazione di una relazione di minoranza. Ribadisce che il Presidente del Consiglio dovrebbe considerare attentamente l'eventualità di farsi processare, dimettendosi per difendersi meglio ove lo ritenga opportuno. Da questo punto di vista concorda anche con il Presidente della Camera che ha parlato di un'inaccettabile pretesa di impunità.

Maurizio TURCO (PD) ricorda, in via preliminare, che ai sensi dell'articolo 96 della Costituzione «Il Presidente del Consiglio dei Ministri e i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale». Tale norma costituzionale risulta integrata dalla normativa dettata dalla legge costituzionale n. 1 del 1989. Al riguardo, fa presente inoltre che l'articolo 6 della citata legge costituzionale prevede che: «1.I rapporti, i referti e le denunce concernenti i reati indicati nell'articolo 96 della Costituzione sono presentati o inviati al procuratore della Repubblica presso il Tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello competente per territorio. 2. Il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo articolo 7, dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al Collegio o chiedere di essere ascoltati.» Come si evince dal combinato disposto della normativa costituzionale, tale modus procedendi relativo all'obbligo di trasmissione degli atti da parte della procura al cosiddetto tribunale dei Ministri postula, a monte, che vi sia un cd reato 'ministeriale' ai sensi dell'articolo 96 della Costituzione.
La questione, che rileva anche in questa sede e che rappresenta un punto centrale nella relazione dell'on. Leone, è relativa all'individuazione del soggetto titolato, nella sistematica del nostro ordinamento processuale penale, a qualificare il reato quale reato comune o ministeriale. Al riguardo ricorda che, sul punto, la giurisprudenza consolidata della Corte di cassazione è pacificamente orientata nel senso che tale qualificazione spetta in via preliminare ed in maniera inequivoca al pubblico ministero o, successivamente, al giudice per le indagini preliminari. Richiama alcune pronunce della Corte di cassazione e, in particolare la sentenza della Sezione VI, 6 agosto 1992, n. 2865, Ferlin, la quale specifica che «L'obbligo di trasmissione al cosiddetto 'Tribunale dei ministri' degli atti concernenti i reati indicati nell'articolo 96 Cost. previsto dall'articolo 6 l. cost. n. 1 del 1989 sussiste a condizione che venga ravvisata, quantomeno sotto il profilo del dubbio, l'ipotizzabilità di un reato 'ministeriale' (commesso cioè da un ministro nell'esercizio delle sue funzioni). Esso, quindi, non sussiste quando tale ipotizzabilità è esclusa dal P.M. o, successivamente dal g.i.p.». La Sezione I, nella sentenza del 22 maggio 2008 n. 28866, ha stabilito che: «Non è configurabile alcuna competenza del collegio, istituto a norma dell'articolo 7 dell'articolo della l. cost. 16 gennaio 1989, n. 1, a deliberare in tema di reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni dal presidente del Consiglio dei Ministri o dai Ministri, allorché non esista, nei loro confronti, una notitia criminis qualificata, nel senso che il rapporto, il referto o la denuncia dichiaratamente relativi a reati di cui all'articolo 96 Cost. ricolleghino ad essi la commissione di un illecito di rilevanza penale, la verifica della quale spetta, sotto la sua responsabilità, al p.m., pur privo, una volta che abbia ricevuto rapporto, referto o denuncia, di poteri d'indagine, spettanti solo al predetto collegio.»
Alla luce delle pronunce testé richiamate, si ricava che, una volta acquisita una notitia criminis da parte del pubblico ministero nei confronti del Presidente del consiglio o di un Ministro, la qualificazione circa la natura ministeriale del reato o meno spetta inderogabilmente a lui - non essendovi alcuna sentenza della giurisprudenza di legittimità di contrario avviso. Pertanto, non avendo rinvenuto il pubblico ministero nel caso de quo alcun reato ministeriale, ed anzi essendo il capo di incolpazione chiaramente formulato nel senso di escludere qualsiasi nesso tra la contestata concussione e 'l'esercizio delle funzioni' - abusivo o meno che sia - non ritiene sia violato, contrariamente a quanto postula il relatore Leone al fine di suffragare la tesi del fumus persecutionis, alcun obbligo di inoltrare gli atti al cosiddetto tribunale dei Ministri da parte della procura. Alla luce delle anzidette premesse, ritiene debba escludersi in nuce un qualsiasi fumus persecutionis in quanto, una volta acquisita da parte del pubblico ministero la notizia di reato in ordine agli accadimenti per cui si discute, l'articolo 112 della Costituzione impone allo stesso, inderogabilmente, il dovere di procedere ad effettuare accurate indagini, non potendosi tollerare prassi, purtroppo non infrequenti, elusive del precetto costituzionale in questione.
Precisa altresì che nel caso de quo, le condotte delittuose contestate nel capo di incolpazione non sono inquadrabili nella categoria del reato ministeriale neppure alla luce della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 14 del 1994 (che richiede una connessione strumentale e un collegamento funzionale tra condotta incriminata e qualità del soggetto attivo), in quanto si contesta l'abuso della qualità, cioè del solo status soggettivo dell'essere, l'indagato, il Presidente del Consiglio, il quale, «abusando della sua qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, la notte tra il 27 e il 28 maggio 2010, avendo appreso che la minore El Mahroug Karima - da lui precedentemente frequentata - era stata fermata e condotta presso la Questura di Milano, si metteva in contatto con il Capo di Gabinetto del Questore, dr. Pietro Ostuni e (...) lo sollecitava ad accelerare le procedure per il suo rilascio (...) e, quindi induceva il dr. Pietro Ostuni a dare disposizioni (...) affinché la minore venisse affidata a Minetti Nicole (...)» integrando così un'azione delittuosa per finalità che non sono in alcun modo ricollegabili ad alcun esercizio di funzioni di governo, quali quelle esercitate (o che dovrebbero essere esercitate) dal rappresentante dell'esecutivo.
Quanto alla competenza territoriale della procura di Milano, ricorda che, nella relazione dell'on. Leone si segnala, quale secondo punto sintomatico di un possibile fumus persecutionis, l'incompetenza territoriale dei pubblici ministeri procedenti; anche sotto questo profilo, non possono essere mosse censure all'operato dei magistrati inquirenti. Data infatti per pacifica la circostanza per cui la competenza territoriale, come stabilito dall'articolo 16 del codice di procedura penale, in caso di connessione tra reati appartiene al giudice competente per il reato più grave - che nel caso di specie, stanti le pene edittali, è senz'altro quello di cui all'articolo 317 c.p. - occorre interrogarsi sul luogo, e dunque necessariamente sul momento, della consumazione di questo reato, così come risulta contestato nel capo di incolpazione. La recente giurisprudenza di legittimità, con riguardo alla consumazione del reato di concussione caratterizzato da condotte in cui la promessa o la realizzazione dell'utilità sia frazionata nel tempo, ha precisato che: «il delitto di concussione rappresenta una fattispecie a duplice schema, nel senso che si perfeziona alternativamente con la promessa o con la dazione indebita per effetto dell'attività di costrizione o di induzione del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, sicché se tali atti si susseguono, il momento consumativo si cristallizza nell'ultimo, venendo così a perdere di autonomia l'atto anteriore della promessa e concretizzandosi l'attività illecita con l'effettiva dazione, secondo un fenomeno assimilabile al reato progressivo» (Sez. VI, 5 giugno 2007, n. 31689), nonché che «il delitto di concussione si sviluppa mediante azioni causalmente concatenate ovvero abuso della qualità o dei poteri del pubblico ufficiale, costrizione o induzione del concusso ad un determinato atteggiamento, promessa o dazione, fermo restando che esso, pur potendosi consumare con la sola promessa di denaro o di altra utilità e pur rimanendo unico quando alla promessa segua la dazione, postula lo spostamento in avanti del momento consumativo in coincidenza con la dazione medesima» (Sez. I, 2 dicembre 2005, n. 47289).
Al riguardo, rileva come, nel caso de quo, secondo la stessa costruzione del capo di incolpazione formulato dai pubblici ministeri, il momento consumativo del reato, stante il realizzarsi ed il susseguirsi di una serie di condotte, debba essere necessariamente rinvenuto nel momento in cui l'utilità promessa - indotta dall'indagato abusando della sua qualità - effettivamente si sia realizzata. Il che è avvenuto inequivocabilmente in quel di Milano all'atto della presa in carico della minore Karima da parte della signora Minetti, in violazione delle norme riguardo l'affidamento della minore alle autorità minorili.
Ritenendo pertanto evidente la correttezza dell'operato dei pubblici ministeri sotto i profili prima illustrati e sgombrato dunque il campo dai due postulati che il relatore ha inopinatamente utilizzato al fine di sostenere l'esistenza di un fumus persecutionis, reputa necessario ribadire che il compito della Giunta al fine del rilascio o meno dell'autorizzazione di cui all'articolo 18 del Regolamento della Camera, rimane esclusivamente quello di valutare, nel merito, se vi siano elementi volti a suffragare l'eventualità che i pubblici ministeri, abusando delle proprie funzioni stiano agendo al fine di invadere la sfera di attribuzioni e le prerogative dei parlamentari o, ragionando a contrario, se invece in presenza - seppur in seguito ad una valutazione sommaria - di un fumus boni juris in ordine alla fondatezza della notizia di reato, i pubblici ministeri stiano solamente e doverosamente dando seguito al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale, con ciò dovendosi, in radice, escludere una qualsiasi possibilità di fumus persecutionis. Domanda che, a suo avviso, appare quasi retorica. Dagli atti che sono stati inviati al seguito della richiesta da parte della procura di Milano, emergono infatti elementi sufficienti per ritenere non manifestamente infondata la notitia criminis (altro è un giudizio di colpevolezza che potrà eventualmente esserci solamente all'esito di un processo penale, ed a seguito dei tre eventuali gradi di giudizio), il che impone ai pubblici ministeri, in ossequio al principio di obbligatorietà dell'azione penale, di svolgere le indagini, sia che l'indagato si chiami Mario Rossi, sia che l'indagato si chiami Silvio Berlusconi o Roberto Formigoni. Voterà contro la proposta del relatore.

Donatella FERRANTI (PD) ha ascoltato interventi esaurienti dai colleghi Mantini, Palomba e Turco, i quali sgombrano il campo dai sintomi del preteso fumus persecutionis. Ritiene che l'episodio di cui si discute riveli ancora una volta come il Presidente del Consiglio voglia sottrarsi all'applicazione della legge, vuoi attraverso provvedimenti ad personam vuoi con espedienti difensivi. Esclude l'esistenza di un qualsiasi intento persecutorio giacché l'indagine scaturisce da un episodio preciso. V'era una minore che avrebbe dovuto seguire la trafila amministrativa ordinaria per essere affidata a un centro di ricovero e accoglienza. Tale procedimento è stato invece alterato in virtù di un intervento diretto dell'on. Berlusconi sulla questura di Milano. Rimarcata la lodevole correttezza del commissario Giorgia Iafrate, che ha resistito finché ha potuto a fortissime pressioni nonostante la sua ridotta anzianità di servizio, considera con favore il tono pacato e sobrio della relazione dell'on. Leone, la quale però si basa su appigli fragili. L'on. Berlusconi viene a conoscenza della presenza di Ruby in questura da una donna brasiliana, Michelle Concei|fcao, che evidentemente aveva il suo numero di telefono, ciò che dovrebbe già far riflettere.
Quanto alla pretesa competenza del tribunale dei Ministri, non trova persuasiva l'osservazione del relatore secondo cui la procura della Repubblica neanche si sarebbe posta il problema dell'applicabilità dell'articolo 96 della Costituzione. È anzi la certezza che tale disposizione non poteva trovare applicazione che denota la correttezza della procura di Milano, giacché altrimenti, in caso di dubbio, davvero gli atti avrebbero dovuto essere spediti al Collegio per i reati ministeriali. Peraltro la qualificazione dei reati ministeriali si deve operare secondo i criteri indicati dalle Sezioni unite penali della Corte di cassazione nel 1994, i quali non sono in grado di ricomprendere l'odierna fattispecie. Tanto più che in quest'ultima non si contesta l'abuso dei poteri ma l'abuso della qualità.
Quanto alla questione della competenza territoriale, rammenta che l'articolo 600-bis del codice penale incrimina una condotta ricompresa tra i reati di competenza della procura distrettuale ai sensi dell'articolo 51 del codice di procedura penale.

Antonio LEONE (PdL), relatore, interrompendo, fa presente che le sue considerazioni circa la competenza territoriale erano relative solo al delitto di concussione.

Donatella FERRANTI (PD), riprendendo il suo dire, osserva che il preteso reato di prostituzione minorile apparirebbe verosimile, se è vero che agli atti risulta un pagamento da parte di Giuseppe Spinelli a Karima El Mahroug di molte decine di migliaia di euro. Da questo punto di vista la perquisizione conserva la sua utilità presso un luogo che assai difficilmente può essere definito il domicilio di un parlamentare. Esclude pertanto ogni intento persecutorio della magistratura.

Antonio LEONE (PdL), relatore, nuovamente interrompendo, osserva che - ove la procura fosse veramente intenzionata a chiedere il rito immediato - oggettivamente la perquisizione perderebbe di senso.

Donatella FERRANTI (PD) ribatte che la richiesta di rito immediato non è ancora stata depositata. Deve inoltre osservare che nonostante i contenuti del mandato a svolgere indagini difensive ricevuto dal collega Ghedini e dal sen. Longo, le risultanze istruttorie smentiscono che presso la villa del Presidente del Consiglio si svolgano soltanto saltuari incontri conviviali seguiti da atti di beneficenza. In realtà si tratta di festini organizzati mediante la chiamata a raccolta di numerose giovani donne. Né può sorvolare sul fatto che tra costoro si annovera la signorina Garcia Polanco, il cui convivente non solo ha in comodato un'automobile intestata a Nicole Minetti, bensì è stato colto in possesso di un ingente quantitativo di cocaina. Questi fatti peraltro sono dell'agosto 2010 e ci si sarebbe aspettati che il Presidente del Consiglio facesse cessare queste frequentazioni. Purtroppo ciò non è avvenuto: ancora ad ottobre la Polanco ha chiamato la segreteria del prefetto di Milano Lombardi spendendo esplicitamente il nome dell'on. Berlusconi. Si arriva all'incredibile che il prefetto manda al Presidente del Consiglio i saluti tramite la Polanco. Osservato che il materiale investigativo è denso di considerazioni improntate al maschilismo e alla mercificazione della donna, si domanda come possano le donne del PdL presso la Giunta non indignarsi. Non si soffermerà ulteriormente sulla caratura negativa degli altri protagonisti della vicenda, quali Emilio Fede e Lele Mora, la cui compagnia nuoce al Presidente del Consiglio. Voterà contro la proposta del relatore.

(La seduta, sospesa alle 11.55, è ripresa alle 12.20).

Luca Rodolfo PAOLINI (LNP), nel condividere la relazione del collega Leone e le sue conclusioni, osserva che al Presidente del Consiglio dev'essere riconosciuta una competenza di ordine generale, sicché è ben difficile ritenere non ministeriale il reato a lui ascritto. La stessa imputazione di concussione gli appare precaria, giacché il d.P.R. n. 448 del 1988 prevede procedure di affidamento dei minori indiziati di reato che non gli sembra siano state violate. Sottolineato che l'articolo 18-bis del citato decreto presidenziale prevede che il minore colto in flagranza non possa essere trattenuto presso uffici giudiziari o di polizia in situazioni di promiscuità e comunque non oltre le dodici ore, non trova indebita l'interferenza ascritta al Presidente del Consiglio, essendo questa assimilabile a una qualsiasi istanza acceleratoria da parte degli utenti della pubblica amministrazione. Rilevato che la minore venne fermata alle 18 del 27 maggio e consegnata alla Minetti alle 2 di notte del 28 maggio, osserva che forse si voleva cercare l'incidente procedurale e che comunque l'affidamento alla Minetti doveva considerarsi temporaneo. Curioso gli appare il comportamento del pubblico ministero competente, la quale non solo nella notte precedente non sembra aver dato precise disposizioni (rispetto alle quali l'affidamento alla Minetti sarebbe stato in contrasto) ma si sarebbe dovuta precipitare in questura quantomeno di prima mattina il 28 maggio per verificare la situazione; questo non gli risulta essere avvenuto.
Ritenuta ormai la sopravvenuta inutilità della perquisizione, osserva che la ridondanza di documentazione e i pregressi attriti tra la magistratura di Milano e alcuni suoi esponenti, da un lato, e il Presidente Berlusconi, dall'altro, legittimino una valutazione di sussistenza del fumus persecutionis. Voterà a favore della proposta del relatore.

Elio Vittorio BELCASTRO (IR) crede che il fumus persecutionis sia in re ipsa. La procura di Milano da molti anni porta avanti inchieste a orologeria e si è rivestita di un abito chiaramente politico. Rilevate anche le cospicue irregolarità nel procedimento in corso, voterà a favore della proposta del relatore.

Antonino LO PRESTI (FLI) interviene per preannunciare il suo voto contrario alla proposta del relatore, rimarcando la differenza tra gli uffici del pubblico ministero e quelli del giudice vero e proprio: il Presidente del Consiglio avrebbe una chance in più se si presentasse ai suoi giudici per contestare le risultanze investigative. Del resto, il procedimento è iniziato contro la Minetti e non contro l'on. Berlusconi. Condivide anche le considerazioni del collega Mantini circa la qualificazione dell'immobile contrassegnato dal numero 802.

Marilena SAMPERI (PD), osservato che già il relatore ha dato atto alla procura di Milano di essere stata corretta, per avere chiesto l'autorizzazione a perquisire un luogo sulla cui qualificazione è lecito dubitare, nondimeno tenderebbe a escludere che le due unità immobiliari di cui si tratta siano coperte dalla prerogativa di cui all'articolo 68, secondo comma, della Costituzione. La documentazione prodotta dalla procura della Repubblica è ampia e solida: non è possibile quindi ravvisarvi un indice di fumus persecutionis ma anzi essa costituisce l'evidente testimonianza di un'inchiesta rigorosa, documentata e completa.
Quanto alla questione della qualificazione del reato, se comune o ministeriale, condivide le osservazioni dei colleghi Palomba e Turco e rimarca che il relativo compito spetta esclusivamente al pubblico ministero. L'elemento soggettivo di rivestire la carica non è considerato sufficiente per la 'ministerialità' del reato dalla consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione né dalla prevalente dottrina. Quando ci si lagna del fatto che il fascicolo odierno sia pervenuto dalla procura presso il tribunale ordinario e non già dal tribunale dei Ministri, si dovrebbe ricordare che la richiesta di autorizzazione a procedere di cui all'articolo 96 della Costituzione prelude alla valutazione da parte della Camera competente della sussistenza di una delle scriminanti di cui all'articolo 9 della legge costituzionale n. 1 del 1989. Se la maggioranza intendesse argomentare in tal senso, vorrebbe dire che crede in astratto applicabili alla prostituzione minorile la cosiddetta ragion di Stato o la superiore discrezionalità di governo di cui al comma 3 del predetto articolo. Tanto le sembrerebbe davvero spropositato, non essendo giovevole a tal fine il precedente del collega Matteoli, sempre avversato dalla sua parte politica. Ricostruita nel dettaglio la nottata tra il 27 e il 28 maggio 2010, osserva come non risponda al vero che il pubblico ministero Fiorillo non avesse dato disposizioni circa l'affidamento ai centri indicati dalla legge della minore Karima. Sotto questo profilo, è addirittura un bene che il fascicolo sia pervenuto dalla procura ordinaria e non dal Collegio per i reati ministeriali, giacché in quest'ultimo caso la Camera sarebbe stata in sommo imbarazzo.
Che poi nella vicenda si mischino in modo poco decente aspetti di vita privata con profili del ruolo pubblico del Presidente del Consiglio, emerge da una pluralità di elementi. Cita in particolare un'intercettazione tra due giovani donne che - evidentemente mantenute per altre attività - si scambiano l'augurio di essere un giorno candidate per un seggio in Parlamento come ricompensa che peraltro sarebbe rimasta a carico dello Stato. Dall'insieme della vicenda emerge un quadro di grande squallore del tutto incompatibile con il dettato dell'articolo 54 della Costituzione. Conclude affermando che il dovere della classe dirigente del Paese sia quello di offrire ai cittadini un orizzonte ideale cui ispirarsi, altrimenti un popolo è disposto ad accettare tutto e a considerare tutto normale. Voterà quindi contro la proposta del relatore e preannunzia, ove questa fosse approvata, la presentazione di una relazione di minoranza.

Maurizio PANIZ (PdL) ringrazia il relatore per l'egregio lavoro svolto e per la puntualità degli argomenti adoperati. Ringrazia altresì i membri del suo Gruppo che hanno rinunziato a intervenire, delegandogli il compito di svolgere la dichiarazione che si appresta a fare, che pertanto dev'essere considerata il frutto di un lavoro di gruppo. Osservato che la concussione nel caso in questione non è configurabile, scarta anche la possibilità di ravvisare la prostituzione minorile, in quanto non provata. Condivide altresì le osservazioni del relatore in ordine alla sussistenza del fumus persecutionis, che si può evincere anche dall'inusuale abbondanza documentale compiegata all'invito a comparire nei confronti dell'on. Berlusconi, frutto anche di un uso non proporzionato della tecnica delle c.d. intercettazioni a raggiera. Gli sembrano del tutto anomale anche le circostanze nelle quali sono pervenute le carte inviate successivamente dalla procura della Repubblica di Milano. Tutto ciò in effetti condurrebbe al diniego dell'autorizzazione richiesta.
Tuttavia, crede di dover affrontare, sotto un profilo che nessuno dei precedenti interventi ha toccato, la dirimente questione della competenza funzionale. Gli sembra evidente che nel contattare la questura di Milano il Presidente del Consiglio abbia voluto tutelare il prestigio internazionale dell'Italia, giacché presso la medesima questura era detenuta, a quanto poteva legittimamente risultargli, la nipote di un Capo di Stato estero. È del tutto evidente - a prescindere dalle pur pregevoli considerazioni che ha ascoltato nel dibattito, che tuttavia ha trascurato questo aspetto - che il Presidente del Consiglio si è preoccupato di tutelare le relazioni internazionali del nostro Paese. Non gli si può negare credito per aver creduto alle affermazioni della giovane, che questa del resto conferma oggi di aver fatto a più riprese. È quindi evidente che il reato dovrebbe essere conosciuto dal Collegio per i ministri di cui alla legge costituzionale n. 1 del 1989 e che qualsiasi magistrato oculato avrebbe dovuto trasmettere a esso il fascicolo, mettendo a sopire foghe o ansie di perseguire il Presidente del Consiglio. È per questi motivi che ritiene pregiudiziale il profilo della competenza funzionale e - ribadito l'apprezzamento per il suo lavoro - chiede al relatore di modificare il solo dispositivo della sua proposta, da diniego dell'autorizzazione a restituzione degli atti per incompetenza dell'autorità procedente.

Antonio LEONE (PdL), relatore, ringrazia gli intervenuti e replica brevemente ad alcune osservazioni che ha ascoltato: quanto alla particella immobiliare contrassegnata col numero 802, è la stessa procura della Repubblica che ne riconosce la natura di domicilio di un parlamentare. Quanto alle considerazioni svolte da tutti gli intervenuti in ordine alla tematica della 'ministerialità' del reato in questione e in particolare da ultimo dal collega Paniz, ritiene di poter accogliere l'invito a modificare le sole conclusioni della sua relazione, fermo restando l'impianto della stessa. Propone pertanto che la Giunta deliberi nel senso che gli atti siano restituiti all'autorità giudiziaria.

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, prende atto del mutamento della proposta del relatore. Viene introdotto nel dibattito un chiaro fattore di novità, rispetto al quale sarebbe legittimo aprire una nuova discussione. Il profilo delle relazioni internazionali che sarebbero involte nella vicenda oggetto del procedimento in titolo, in effetti, non è stato toccato da alcuno degli intervenuti. Crede quindi opportuno un rinvio dell'esame in corso.

Pierluigi MANTINI (UdC) concorda con il Presidente, ravvisando nelle ultime affermazioni del relatore un'evidente contraddizione - esito probabilmente di un difetto di coordinamento interno alla maggioranza - e, questo sì, un insufficiente rispetto per la Giunta, che sinora ha discusso sulla base di una relazione dai contenuti notevolmente diversi. Quanto appena accaduto dovrebbe indurre il relatore a rimettere l'incarico, soprattutto alla luce del fatto che la Camera non ha competenze di statuizione in ordine a quali uffici giudiziari debbano procedere, visto anche che il cosiddetto 'lodo Consolo' (volto ad attribuire tale potere alle Camere) non è stato approvato. Chiede comunque un congruo tempo per poter elaborare un intervento sulla nuova proposta.

Marilena SAMPERI (PD) concorda con la necessità di un rinvio prospettata dal Presidente. I profili di politica internazionale evocati dall'intervento dell'on. Paniz, peraltro, non sono mai stati trattati nel corso del dibattito.

Federico PALOMBA (IdV), nell'esprimere profondo stupore per il mutato orientamento del relatore, rileva come sino ad ora la Giunta abbia dibattuto sull'opportunità di concedere o negare l'autorizzazione a effettuare una perquisizione nei locali indicati nella domanda mentre ora essa è messa innanzi alla proposta di decidere impropriamente sulla competenza dell'autorità giudiziaria istante. Concorda pertanto con la proposta del Presidente di rinviare il seguito della seduta.

Maurizio TURCO (PD), nel concordare con la proposta del Presidente, rileva tuttavia come il mutato intendimento del relatore sia un fatto positivo, in quanto esso è avvenuto all'esito del dibattito.

Maurizio PANIZ (PdL) è contrario a ogni rinvio. Il suo intervento non intendeva smentire in modo alcuno le conclusioni del relatore, che questi ha modificato solo nella parte del dispositivo. Del resto, il problema delle relazioni internazionali dello Stato è emerso con chiarezza solo dopo l'arrivo dell'incartamento integrativo in data di ieri. Non vedrebbe motivi ostativi a che la Giunta deliberasse sull'ordine dei propri lavori.

Luca Rodolfo PAOLINI (LNP) non ravvisa motivi particolari per dilungare i tempi dell'esame.

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, chiede ai componenti della maggioranza di non insistere per una deliberazione sulla sua proposta di rinvio o di sospensione. Non è evidentemente animato da alcun intento dilatorio ma deve ribadire che la modifica della proposta da parte del relatore costituisce oggettivamente un motivo di novità per il prosieguo dell'esame. Se non vi sono obiezioni, la seduta sarà sospesa e riprenderà tra circa due ore.

(Così rimane stabilito).

(La seduta, nuovamente sospesa alle 14.15, è ripresa alle 16.20).

Antonio LEONE (PdL) enunzia la nuova formulazione della sua proposta conclusiva: «v'è da rilevare che, nel dibattito svoltosi in Giunta, tutti gli interventi si sono incentrati sulla qualificazione o meno di reato ministeriale della presunta concussione; inoltre, a rafforzare l'ipotesi che si versi nel reato ministeriale, sono state - nel dibattito stesso - sottolineate le circostanze che avrebbero indotto il presidente del Consiglio a prendere contatti con il dott. Ostuni. Tutto ciò posto e considerato, il relatore si è deciso - tenuto conto del dibattito e modificando la proposta inizialmente fatta e ritenendo dovuta la trasmissione al tribunale dei ministri - a proporre la restituzione degli atti all'autorità giudiziaria».

Federico PALOMBA (IdV) torna a evidenziare la clamorosa contraddizione emersa all'interno del Gruppo del PdL, che di fatto ha delegittimato l'iniziale posizione del relatore. Rimarcato ancora una volta che non compete alla Camera distribuire le attribuzioni costituzionali circa la qualificazione dei reati, contesta in radice l'impostazione del deputato Paniz. Nella telefonata dell'on. Berlusconi a Piero Ostuni non era presente alcun intento di tutela delle relazioni internazionali, che anzi ne hanno fortemente risentito. C'era invece l'unico obiettivo di rimettere sulla strada la giovane Karima. Non è possibile fondare un giudizio di competenza del tribunale dei Ministri su una palese falsità. Voterà contro la proposta del relatore e conferma che presenterà una relazione di minoranza.

Pierluigi MANTINI (UdC), osservato che la nuova conclusione della relazione offerta dall'on. Leone ne rende l'impianto contraddittorio e incongruo, contesta che il complesso degli interventi svoltisi in mattinata abbia avuto a oggetto il tema dei reati ministeriali. Personalmente, viceversa, ha molto insistito sulla natura dei luoghi e della loro riconducibilità alla nozione di domicilio del parlamentare. Chiede pertanto al collega Leone di modificare opportunamente la dizione che userà nel redigere la relazione per l'Assemblea. Preannuncia la presentazione di una relazione di minoranza.

Antonio LEONE (PdL), relatore, assicura che terrà conto di tale precisazione riformulando corrispondentemente la sua proposta.

Donatella FERRANTI (PD) contesta anch'ella la coerenza dell'impianto della relazione, così come risultante dalla modifica or ora ascoltata. Si associa alle considerazioni del collega Mantini e comunque crede del tutto arbitrario che la Camera si esprima sulla necessità di trasmettere gli atti al tribunale dei Ministri, riferimento che ritiene andrebbe espunto dal testo della relazione. Osservato che perde di senso ogni rilievo in ordine al fumus persecutionis, rimarca l'assurdità e l'inverosimiglianza dell'approccio del collega Paniz. Se fosse stato vero che il Presidente del Consiglio intendeva salvaguardare le relazioni internazionali italiane, avrebbe certamente contattato la diplomazia egiziana a Milano. Ciò non è avvenuto. Del resto, proprio il pubblico ministero, al momento di procedere, aveva già a disposizione chiari elementi che smentivano tale falsa premessa. Contesta al collega Paniz che indizi circa l'identità di Karima El Mahroug quale nipote di Mubarak possano essere emersi dalla documentazione integrativa pervenuta ieri. Voterà contro la nuova proposta del relatore.

Antonino LO PRESTI (FLI) preannuncia il suo voto contrario sulla nuova proposta del relatore, associandosi alle considerazioni testé ascoltate. Ipotizza che, a questo punto, la procura della Repubblica potrebbe utilmente rinunziare all'atto istruttorio.

Maurizio TURCO (PD) si è già espresso in mattinata sul tema della competenza funzionale e questo è sufficiente per fargli ribadire il voto contrario anche sulla nuova proposta. Inserire negli atti parlamentari la circostanza che il Presidente del Consiglio avrebbe telefonato al dott. Ostuni per aver creduto che la giovane interessata fosse la nipote del Presidente egiziano Mubarak costituisce un inutile accanimento contro la persona dell'on. Berlusconi prima ancora che contro il Presidente del Consiglio.

Marilena SAMPERI (PD) osserva di aver svolto il proprio intervento interamente sul tema del fumus persecutionis, in relazione al quale aveva incidentalmente trattato la questione dell'articolo 96 della Costituzione. Adesso evidentemente ci si trova su un terreno diverso, nel quale assume rilevanza se storicamente le relazioni internazionali dell'Italia siano effettivamente venute in questione. Deve sottolineare come dagli atti emerga chiaramente che Emilio Fede sapesse perfettamente che Karima era una ragazza marocchina, residente in Sicilia, che aveva partecipato a un concorso di bellezza. La stessa Karima proprio di recente in un'intervista televisiva ha smentito di aver mai affermato in quei giorni di essere la nipote di Mubarak. Allora delle due l'una: o il Presidente del Consiglio non dice il vero; oppure egli assume contegni pericolosi perché non verifica chi partecipa delle sue frequentazioni e chi entra nelle sue residenze. Si meraviglia che l'esponente della Lega si associ oggi al nuovo impianto della relazione, giacché il partito della Lega Nord si è sempre proclamato come paladino della lotta all'immigrazione clandestina. Karima infatti a Milano era persino priva dei documenti, conservati dal padre a Letojanni. Deve anche osservare che si è peritata di contattare lo scorso mese di ottobre l'ambasciata egiziana per conoscere quali reazioni si siano avute presso quel Paese in seguito alla vicenda di cui oggi si discute. Può assicurare che le relazioni estere italiane non ne hanno tratto alcun giovamento. Ribadisce quindi il suo voto contrario sulla relazione e conferma la presentazione di una relazione di minoranza.

Federico PALOMBA (IdV), intervenendo per una questione pregiudiziale, chiede che la Giunta deliberi per proporre all'Assemblea la parziale restituzione degli atti per quel che concerne l'immobile contrassegnato dal numero 802, che chiaramente non è il domicilio di un membro del Parlamento.

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, chiarisce che la proposta di restituzione degli atti formulata dal relatore è pregiudiziale anche rispetto alla questione testé posta. Porrà quindi ai voti la proposta del relatore di deliberare nel senso che la Camera restituisca gli atti all'autorità giudiziaria. Ove fosse approvata, rimarrebbero precluse non solo la proposta del collega Palomba ma anche ulteriori proposte di merito.

La Giunta, a maggioranza, approva la proposta del relatore, conferendogli il mandato di predisporre la relazione scritta per l'Assemblea.

Francesco Paolo SISTO (PdL), intervenendo sull'ordine dei lavori, stigmatizza la circostanza che da talune agenzie di stampa risulta che componenti della Giunta abbiano riferito e commentato all'esterno contenuti degli atti che la Giunta stessa custodisce in regime di consultabilità limitata.

Pierluigi CASTAGNETTI, presidente, deve specificare che la prassi vigente vieta la divulgazione degli atti mediante l'estrazione di copia degli stessi. Non può essere considerata limitata in alcun modo la facoltà dei deputati di esercitare liberamente il proprio mandato parlamentare anche commentando i contenuti degli atti di cui hanno preso in vario modo cognizione.

La seduta termina alle 17.15.


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