Doc. IV, n. 13-bis-A





Onorevoli Colleghi! - 1. Premessa. Come è noto, in data 14 gennaio 2011 è pervenuta alla Camera dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano, nell'ambito di un procedimento penale per i delitti di cui agli articoli 317, 61 n. 2, 81 capoverso e 600-bis, comma 2, del codice penale, una domanda di autorizzazione ad eseguire una perquisizione domiciliare nei confronti dell'onorevole Silvio Berlusconi, Presidente del Consiglio, segnatamente nei locali dell'ufficio di Giuseppe Spinelli, sito in Segrate.
La Giunta delle autorizzazioni ha esaminato il caso nelle sedute del 19, 25, 26 e 27 gennaio 2011. Invitato a intervenire a termini di regolamento, il deputato Berlusconi ha inviato - per tramite dei difensori - due memorie.
In questa delicata decisione che la Giunta era chiamata a prendere occorreva anzitutto assumere come punto di partenza il fatto che la Giunta stessa e la Camera non devono certo valutare la vicenda processuale nel merito (se cioè Berlusconi sia o meno colpevole o se le prove raccolte siano o meno sufficienti), poiché questa sarà materia da trattare in giudizio.
In questa sede occorre per lo più fermarsi alla valutazione se, nel caso di specie, ricorrano i presupposti per concedere o negare l'autorizzazione all'esecuzione della perquisizione e se, quindi, l'esecuzione della perquisizione rischi o meno di minare quella garanzia di inviolabilità del domicilio del parlamentare e, conseguentemente, di violare quella «tutela dell'interesse del Parlamento al pieno dispiegamento della propria autonomia, esplicantesi anche nel libero esercizio del mandato parlamentare, rispetto agli altri poteri dello Stato», che la Corte costituzionale ha posto alla base dell'immunità di cui all'articolo 68, secondo comma, Costituzione. Occorre cioè una verifica sul fatto che nell'azione della magistratura non siano ricavabili elementi di intimidazione o di persecuzione ingiusta, che si risolverebbero in una forma di pregiudizio al libero e pieno esercizio delle funzioni parlamentari. Inoltre conviene valutare in via pregiudiziale se l'autorità promanante sia rivestita pienamente della competenza a inoltrare la richiesta.
In questo senso occorre evitare di trasformare la valutazione cui oggi siamo chiamati in un giudizio a favore o contro Silvio Berlusconi, dovendo farla rientrare nei suoi esatti confini, che sono più generali e attengono alla tutela del mandato parlamentare di un deputato ed all'interesse istituzionale della Camera rispetto all'esercizio delle funzioni di un altro potere dello Stato. Tenendo presente che quello che si deciderà oggi, varrà anche per domani, rispetto ad altri casi che si potranno porre in futuro.
Stabilire se vi sia o meno fumus persecutionis, naturalmente, implica una valutazione sulla sussistenza dei presupposti procedimentali minimi: non già una valutazione sugli elementi processuali, ma la verifica che vi siano i crismi formali e sostanziali perché l'esecuzione dell'atto non si riveli un'interferenza ingiustificata - e perciò illegittima - con l'esercizio del mandato parlamentare.
È pervenuta alla Giunta una memoria da parte degli avvocati dell'onorevole Berlusconi, con la quale - oltre a ribadire, allegando ulteriori elementi documentali, la qualifica di domicilio dell'onorevole Berlusconi dei locali che si chiede di perquisire (ma la questione sembra già risolta in senso favorevole dalla procura che attesta la natura di domicilio nella stessa domanda di autorizzazione) - si pone in particolare il problema dell'incompetenza della procura di Milano. Sono altresì pervenuti in data 25 gennaio 2011 ulteriori atti (verbali di informazioni e dichiarazioni). Inoltre, il 26 gennaio 2011 la procura di Milano ha inviato documentazione integrativa.

2. In tema di domicilio ai fini della tutela ex articolo 68, secondo comma, Costituzione. Come detto, la domanda di autorizzazione ad eseguire perquisizioni domiciliari nei confronti dell'onorevole Berlusconi si riferisce ad uffici ubicati in Segrate, «dove lavora Spinelli Giuseppe»: come chiariscono i magistrati, «tre elementi appresi in data odierna fanno ritenere che i locali .... siano nella disponibilità, diretta o indiretta, dell'onorevole Silvio Berlusconi e come tali sottoponibili a perquisizione solo previa autorizzazione della Camera di appartenenza», ossia una targhetta esterna all'immobile n. 801 recante la scritta «segreteria onorevole Silvio Berlusconi»; il fatto che la residenza n. 802 sia sede di varie società riconducibili alla famiglia Berlusconi; il fatto che l'avvocato Ghedini ha riferito che l'immobile n. 801 è «pertinente al Presidente del Consiglio».
Alla luce della giurisprudenza costituzionale, queste circostanze - rilevate dalla stessa procura - non pongono in dubbio il fatto che rientriamo nei confini della tutela costituzionale del domicilio del parlamentare di cui all'articolo 68, II comma, Costituzione, il quale «intende garantire al parlamentare l'inviolabilità della sua residenza ed anche di spazi ulteriori identificabili come domicilio, in vista della tutela dell'interesse del Parlamento al pieno dispiegamento della propria autonomia, esplicantesi anche nel libero esercizio del mandato parlamentare, rispetto agli altri poteri dello Stato» (Corte cost. n. 58 del 2004).
La Corte ha infatti adottato un'interpretazione ampia di domicilio, tale da escludere che vi rientri la sola abitazione e gli altri luoghi di privata dimora. In particolare la Corte è intervenuta sul punto con la sentenza n. 58 del 2004, che risolveva a favore della Camera il conflitto di attribuzioni sollevato da quest'ultima per chiedere di dichiarare che «non spetta all'autorità giudiziaria di disporre e di far eseguire la perquisizione del domicilio del parlamentare Roberto Maroni, con il conseguente annullamento dei decreti di perquisizione locale e di sequestro ... nella parte in cui, senza autorizzazione della Camera dei deputati, si è disposta la perquisizione del locale all'interno della sede della Lega Nord di Milano nella disponibilità di Corinto Marchini, ancorché lo stesso fosse nell'effettiva disponibilità dell'onorevole Roberto Maroni». In tale sentenza la Corte ha considerato che la circostanza che, nel caso di specie, sulla porta di accesso ad un corridoio e ad una stanza fosse collocato un cartello con la scritta «Lega Nord - Segreteria politica - Ufficio dell'Onorevole Maroni» «segnalava ... che il locale da perquisire in quanto ufficio del Marchini era invece nella disponibilità di un deputato, onde poteva costituirne domicilio, non sottoponibile a perquisizione senza autorizzazione della Camera. In tale contesto, l'autorità giudiziaria avrebbe dovuto sospendere l'esecuzione della perquisizione e chiedere alla Camera la necessaria autorizzazione; in alternativa - ove avesse nutrito dubbi sull'attendibilità del contenuto dei cartelli - avrebbe potuto disporre gli accertamenti del caso, per eventualmente procedere contro chi quei cartelli aveva collocato».
Coerentemente con questa giurisprudenza, dunque, la procura della Repubblica di Milano - nel caso oggi al nostro esame - ha trasmesso la richiesta di autorizzazione ad acta e sospeso l'esecuzione della perquisizione.
Sgombrato il campo dalle riflessioni su questo punto preliminare, passiamo alla valutazione della domanda di autorizzazione sul versante della competenza, richiamato anche nella memoria difensiva.

3. Circa l'eventuale natura ministeriale del reato. Un primo aspetto riguarda il possibile riconoscimento della qualificazione come «reato ministeriale» per uno dei reati per i quali la procura di Milano procede nei confronti del Presidente del Consiglio e segnatamente per il reato di concussione di cui all'articolo 317 c.p.
Sulla base della normativa prevista in materia di reati ministeriali (articolo 96 della Costituzione, l. costituzionale n. 1 del 1989, legge ordinaria n. 219 del 1989), il Presidente del Consiglio ed i ministri «per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni» sono sottoposti alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione della Camera o del Senato. In particolare, sinteticamente, si ricorda che il procuratore della Repubblica che abbia ricevuto i rapporti, referti e denunzie concernenti i reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione, è tenuto a trasmetterli al c.d. tribunale dei ministri, senza compiere alcuna indagine. A sua volta tale collegio, compiute le indagini preliminari e sentito il pubblico ministero, se non ritiene che si debba disporre l'archiviazione, trasmette gli atti con relazione motivata al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente in relazione alla richiesta di autorizzazione a procedere, che può essere negata, a maggioranza assoluta dell'Assemblea interessata, ove essa reputi, con valutazione insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo. Analoga autorizzazione, nei procedimenti per i reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione, è richiesta per provvedimenti di limitazione delle libertà personali, ivi comprese le perquisizioni domiciliari.
Nel caso di specie la procura di Milano non ha preso in considerazione in nessun modo tale procedura, senza quindi minimamente ipotizzare che nel caso in questione potesse trattarsi di uno dei reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione.
Come è noto, l'espressione «reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione», presente nella legge costituzionale e nella legge ordinaria, come è confermato dalla semplice lettura dell'articolo 96 della Costituzione, non rinvia ad un elenco specifico di reati, che non è contenuto nella disposizione costituzionale e che invece consentirebbe un più facile accertamento circa l'inerenza ad essi dei rapporti, referti e denunzie inviati al procuratore della Repubblica. La disposizione costituzionale indica invece una formula generale, che è quella dei reati commessi dal Presidente del Consiglio e dai Ministri nell'«esercizio delle loro funzioni». È del tutto evidente che il ricorrere di siffatta locuzione richiede volta per volta una delicata attività interpretativa, cui l'operatore del diritto deve impegnarsi tenendo conto della fattispecie concreta, il cui approfondimento e la cui soluzione costituiscono una fase propedeutica del prosieguo del procedimento e di cui però - nel caso in questione - non sembra esservi traccia (almeno nelle carte trasmesse). Eppure le ragioni che portano eventualmente l'operatore ad escludere nel caso concreto - pur in presenza della qualifica soggettiva ministeriale - la ministerialità del reato non possono non essere considerate quanto meno «utili» (ma forse addirittura essenziali) ai fini della decisione della Giunta sulla domanda di autorizzazione all'esecuzione della perquisizione, che deve anzitutto escludere la sussistenza di un qualsivoglia intento persecutorio o limitativo delle prerogative dei parlamentari interessati.
È certamente vero che la giurisprudenza ha provveduto a specificare le due circostanze indicate dalla Costituzione per riconoscere la ministerialità di un reato, e cioè la qualificazione soggettiva dell'autore del reato, al momento della sua commissione, ed il rapporto di connessione tra la condotta integratrice dell'illecito e le funzioni esercitate dal Presidente del Consiglio o dal Ministro. Il ricorrere però del suddetto rapporto di connessione, non essendo riducibile ai soli «provvedimenti» formali assunti dal soggetto nell'ambito della sua competenza (v. S.U. Cassazione n. 14 del 1994), comporta inevitabilmente un'attività di accertamento approfondito e complesso tra la condotta asserita come illecita ed il collegamento con le funzioni governative.
Ma di tutto questo ragionamento non vi è traccia nella richiesta trasmessa, né emersione negli atti d'indagine: ciò, nonostante la concussione sia, come è noto, reato proprio - in cui cioè la qualificazione soggettiva dell'autore è elemento essenziale della fattispecie - e che la stessa sia stata rinvenuta dai magistrati procedenti nella qualità di Presidente del Consiglio dei ministri ricoperta da Berlusconi.
Altre volte peraltro i giudici, in presenza di tale qualità soggettiva, hanno comunque rimesso gli atti al tribunale dei ministri, perché questa circostanza, suscettibile di modificare la competenza, fosse preventivamente valutata da quest'ultimo: in proposito richiamo il recentissimo precedente Matteoli, di cui ci siamo occupati anche in questa legislatura ed in cui la procura della Repubblica di Firenze, «previa formulazione delle imputazioni, omessa ogni indagine», aveva rimesso il 12 gennaio 2005 gli atti al locale Collegio per i reati ministeriali, che poi escluse la ministerialità. Nella memoria difensiva si richiama anche il recente precedente della procura di Trani, che - il 19 marzo 2010 - ha trasmesso al tribunale dei ministri gli atti relativi ad un procedimento per concussione nei confronti del Presidente del Consiglio, rimettendo ad esso «la corrispondente delibazione», essendosi posto un dubbio sulla configurabilità del reato come ministeriale: la procura ritiene che le norme vigenti «lascino intendere che la valutazione in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti commessi spetti con precedenza al tribunale dei ministri».
Che la competenza primaria a qualificare come ministeriale il reato sia essenzialmente attribuita dalla legge al tribunale dei ministri lo si ricava anche dall'articolo 2 della legge ordinaria n. 219 del 1989, laddove contempla espressamente, tra i diversi sbocchi dell'attività di indagine del tribunale, la conclusione che «il fatto integra un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 96 della Costituzione», con questo evidentemente ammettendo la competenza sull'accertamento del requisito della ministerialità. Ciò quanto meno per i fatti per i quali sussista un ragionevole dubbio circa il ricorrere di questo requisito: e mi sembra di poter dire che, nel caso in questione, il ragionevole dubbio è dato proprio dal tipo di reato contestato che presuppone l'esercizio di una pubblica funzione, anche se con abuso dei poteri o della qualità di pubblico ufficiale.
Peraltro, l'attivazione della procedura di rimessione al tribunale dei ministri ha, nella sistematica del procedimento, la funzione di garantire l'interesse costituzionalmente tutelato delle Camere ad operare un'autonoma valutazione sulla ministerialità del reato rispetto a quella operata dalla magistratura, garanzia che è totalmente esclusa se quel tribunale non venga attivato. Come è noto, infatti, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 241 del 2009, ha espressamente riconosciuto a favore delle Camere «un interesse costituzionalmente protetto ad essere tempestivamente informata, per via istituzionale ed in forma ufficiale, dell'avvenuta archiviazione, come prescrive, senza eccezioni, il citato comma 4 dell'articolo 8 della legge costituzionale n. 1 del 1989. Tale comunicazione è, del resto, l'unico strumento che consente alla Camera stessa di apprezzare che si tratta di archiviazione che non implica una chiusura, ma, al contrario, un seguito del procedimento per diversa qualificazione giuridica del fatto di reato e così di esercitare, al riguardo, i propri poteri. All'organo parlamentare, infatti, non può essere sottratta una propria, autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria, né tantomeno - ove non condivida la conclusione negativa espressa dal tribunale dei ministri - la possibilità di sollevare un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, assumendo di essere stata menomata, per effetto della decisione giudiziaria, della potestà riconosciutale dall'articolo 96 Costituzione.» Tale interesse quindi risulta tutelato solo se sia il tribunale dei ministri ad intervenire per la valutazione della ministerialità e risulta invece privo di tutela quando procede direttamente l'autorità giudiziaria ordinaria. In quest'ultimo caso la Camera sarebbe privata della stessa possibilità di operare quella sua autonoma valutazione sulla ministerialità del reato che proprio la Corte ha ritenuto spettare ad essa, ex articolo 96 Costituzione.
La posizione del Presidente del Consiglio, inoltre, quanto all'esercizio di funzioni e competenze ed alla eventuale commissione di reati nell'esercizio di queste, è del tutto peculiare e presenta degli evidenti caratteri di specificità. Non si può ignorare, infatti, che le funzioni essenziali del Presidente del Consiglio - a parte cioè quelle che l'ordinamento rimette alla sua diretta responsabilità - sono funzioni di direzione della politica generale del governo, di cui è responsabile, e di mantenimento dell'unità di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei ministri. Si tratta di funzioni e competenze che presentano, per certi versi, contorni sicuramente meno netti di quelle che possono essere identificate in capo ai singoli ministri, che sono gli organi di vertice di apparati amministrativi. Ma se facciamo affidamento solo a quest'ultimo criterio per individuare i reati ministeriali, è evidente che si rischia di ridurre considerevolmente per il Presidente del Consiglio, che non è collocato a capo di uno specifico Ministero, la possibilità di avvalersi, nell'esercizio del suo delicato ruolo di direzione della politica di governo e di mantenimento dell'unità d'indirizzo, della prerogativa di cui all'articolo 96 Costituzione, finendo per ammettere una conclusione paradossale: ossia una minore tutela del Presidente del Consiglio rispetto ai singoli ministri, in rapporto ai quali egli è però primus inter pares!
A ciò si aggiunga che la «giurisprudenza parlamentare», molto recentemente, con la deliberazione assunta nella seduta della Camera del 28 ottobre 2009 (caso Matteoli) ha riconosciuto la sussistenza della ministerialità anche nei casi in cui un ministro interloquisca con autorità amministrative incardinate presso dicastero diverso da quello da lui diretto (nel caso di specie si trattava del Ministro dell'ambiente che aveva interloquito con un prefetto). Considerata la rilevanza delle prassi e dei precedenti nella vita parlamentare - e per evidenti esigenze di tutela della parità di trattamento di situazioni analoghe - è chiaro che questo dato non può essere oggi trascurato: nel caso di specie sembra sussistere infatti una relazione intersoggettiva del tutto analoga.
Con riferimento allo specifico reato contestato (la concussione), non appare elemento risolutivo per escluderne la ministerialità la circostanza che la concussione stessa deve essere compiuta dal pubblico ufficiale «abusando della sua qualità o dei suoi poteri» (così recita il codice penale): anzi, proprio dalla giurisprudenza della Cassazione si desume che l'abuso dei poteri o delle funzioni possono essere uno degli elementi ricavabili in via interpretativa per riconoscere la ministerialità di un reato. La Cassazione, infatti, con la sentenza n. 14 del 1994, nell'escludere la correttezza di un'interpretazione che richieda necessariamente l'abuso di potere per riconoscere la ministerialità di un reato (nell'escludere cioè che per aversi reato ministeriale debba esservi necessariamente l'abuso di potere), conferma comunque che l'abuso di potere può essere uno dei casi nei quali riconoscere che il fatto è stato commesso nell'esercizio di funzioni di governo, conseguentemente assumendo natura ministeriale.

4. Sulla competenza territoriale per la concussione. Aldilà di queste considerazioni, che pure - con riferimento al reato di concussione - avrebbero consigliato ai magistrati di valutare con più cautela la eventuale competenza del tribunale dei ministri, si potrebbero porre comunque ulteriori dubbi sulla competenza territoriale.
Osservo infatti - senza voler entrare nei dettagli - che, in base all'articolo 317 cp il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe o induce taluno a dare o a promettere indebitamente a lui o ad un terzo denaro o altra utilità, è punito con la reclusione da 4 a 12 anni. Nel caso di specie, risulta agli atti d'indagine che l'asserita condotta materiale sarebbe stata posta in essere dall'onorevole Berlusconi sul capo di gabinetto del Questore di Milano, dottor Ostuni, cui egli avrebbe telefonato nella notte fra il 27 e il 28 maggio 2010.
Le carte trasmesse dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Milano indicano il comportamento materiale integrativo del reato nel fatto che l'onorevole Berlusconi si sia messo in contatto con il Capo di Gabinetto del Questore per sollecitarlo «ad accelerare le procedure» per il rilascio della minore fermata presso la questura di Milano.
La «pressione» asseritamente esercitata da Berlusconi su Ostuni si suppone abbia determinato quest'ultimo ad attivarsi conseguentemente, previe rassicurazioni in tal senso fornite allo stesso Presidente del Consiglio, secondo quanto emerge dal verbale di assunzione di informazioni del 30 ottobre 2010.
Secondo la ricostruzione dei magistrati, in sostanza, la concussione si sarebbe consumata con l'induzione - nei confronti del dottor Ostuni - ad accelerare le procedure per il rilascio della minore, ciò che costituirebbe l'«utilità» della concussione. Ne consegue che la asserita concussione si sarebbe consumata con la telefonata dell'onorevole Berlusconi e la rassicurazione a lui offerta - per telefono - dal dottor Ostuni.
Ora, risulta dal verbale di assunzione di informazioni rese il 30 ottobre 2010 dal dottor Ostuni (allegato alla domanda di autorizzazione ad acta) che questi ricevette la telefonata del Presidente del Consiglio «... intorno alle 23.00/23.15 del 27 maggio 2010», mentre si trovava a letto. Risulta - secondo gli atti - che la cella telefonica agganciata dal cellulare sia quella di Sesto San Giovanni. La concussione dunque - se quanto riportato nei verbali fosse corrispondente al vero - si sarebbe consumata in un luogo (Sesto San Giovanni) non compreso nella competenza territoriale del tribunale di Milano, ma assegnato alla competenza del tribunale di Monza.
Né - alla luce di quanto detto - rileva il fatto che a sua volta il dottor Ostuni abbia successivamente interloquito con la funzionaria di turno in Questura, questa sì a Milano, cui comunicava le «disposizioni ricevute».
Insomma, anche ove fosse esclusa la competenza del tribunale dei ministri (in difetto della ministerialità del reato), si porrebbero comunque dubbi sulla competenza territoriale, che sembrerebbe non essere stata rispettata, almeno per quanto riportato nelle stesse carte trasmesse dalla procura.

5. Sull'utilità della perquisizione. Aggiungo infine il dato che, se quanto riferito dai giornali fosse vero, la procura sarebbe intenzionata a chiedere il giudizio immediato ai sensi dell'articolo 453 cpp, il cui presupposto è l'evidenza della prova: la domanda di autorizzazione alla perquisizione potrebbe apparire quindi - nella stessa strategia dell'accusa - atto istruttorio sostanzialmente inutile, se non addirittura provocatorio alla luce della superfluità della perquisizione implicitamente riconosciuta dagli stessi p.m.

6. Conclusioni. L'impressione che ho ricavato dalla lettura delle carte è dunque che non può escludersi - alla luce dell'omissione di qualsivoglia argomentazione circa la non ministerialità del reato ed alla luce dei difetti di competenza territoriale rinvenibili agli atti, oltre che alla luce delle valutazioni che ho fatto sulla effettiva utilità della perquisizione (giudizio questo, mi rendo conto, di mero fatto) - un intento persecutorio della procura.
Valutazione che ovviamente non può prescindere dai precedenti rapporti fra Berlusconi e la procura, che definire burrascosi è forse un eufemismo: non ho bisogno di ricordare le dichiarazioni rese negli anni passati alla stampa, ma richiamate anche nel dibattito politico-parlamentare, essendo quello della contrapposizione dell'onorevole Berlusconi alla magistratura «politicizzata» (che - a suo dire ed a prescindere, da parte mia, da ogni valutazione sul merito - sarebbe strumento di lotta politica usato da una parte per l'eliminazione degli avversari politici), un tema ricorrente nelle opinioni espresse dall'onorevole Berlusconi da molti anni, con particolare riferimento ai magistrati della procura di Milano.
La preoccupazione, quindi, che vi possa essere da parte dei magistrati di quella procura un intento ritorsivo, se non persecutorio, nei suoi confronti - ossia un vero e proprio fumus persecutionis - non sembra facilmente fugabile ed anzi sembra rafforzarsi alla luce delle criticità che ho cercato di illustrare.
Di questa preoccupazione occorre tenere conto nella valutazione della richiesta: non ho bisogno di aggiungere, del resto, perché è un fatto noto, che generalmente la Camera si è orientata nel senso del diniego dell'autorizzazione all'esecuzione delle perquisizioni, fattispecie pure non frequentissima (v. casi riguardanti l'onorevole Tabacci, 17 giugno 1993; l'onorevole Fortunato, 15 luglio 1993; l'onorevole Di Giuseppe, 23 settembre 1993; l'onorevole Romano, 27 maggio 1993).
Alla luce di questo contesto generale v'è conclusivamente da rilevare che, nel dibattito svoltosi in Giunta, diversi interventi si sono incentrati anche sulla qualificazione o meno di reato ministeriale della presenta concussione; inoltre, a rafforzare l'ipotesi che si versi nel reato ministeriale, sono state - nel dibattito stesso - sottolineate le circostanze che avrebbero indotto il Presidente del Consiglio a prendere contatti con il dott. Ostuni. Tutto ciò posto e considerato, il relatore si è deciso - tenuto conto del dibattito e modificando la proposta contenuta nella bozza di relazione e ritenendo dovuta la trasmissione al tribunale dei ministri - a proporre la restituzione degli atti all'autorità giudiziaria.
In conclusione, a maggioranza, la Giunta propone di deliberare che la Camera restituisca gli atti all'autorità giudiziaria procedente.

Antonio LEONE,
relatore per la maggioranza.


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