Doc. IV, n. 24-A





Onorevoli Colleghi! La Giunta riferisce su una domanda di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni di conversazioni coinvolgenti casualmente l'on. Francesco Saverio Romano, avanzata dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Palermo, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, nell'ambito del procedimento penale n. 15675/08 RGNR.
Le intercettazioni s'inseriscono nel quadro di una vasta e complessa inchiesta della procura della Repubblica di Palermo sulle attività legate al mondo della criminalità organizzata di stampo mafioso. Si tratta di 25 conversazioni tra l'on. Romano e Gianni Lapis.
Ci si soffermerà tra breve sulla pretesa sussistenza del fumus persecutionis, unico ambito di valutazione di cui la Giunta per le autorizzazioni debba occuparsi. Sembra però necessario tratteggiare brevemente il contesto, che si evince anche dalla discussione presso la Giunta, i cui resoconti si allegano, nel quale matura la condotta del deputato Romano.
Il procedimento trae spunto dall'arresto del latitante Antonino Giuffrè, esponente di vertice della mafia. Gianni Lapis è coimputato nel predetto procedimento per il reato di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, anche nella sua qualità di Presidente della GAS-GASDOTTI AZIENDA SICILIANA, società su cui insistevano interessi di natura mafiosa.
L'on. Romano è accusato di corruzione aggravata per aver ricevuto somme di denaro da Gianni Lapis come corrispettivo delle sue prestazioni nei confronti del Gruppo Gas attraverso il compimento di atti contrari ai doveri d'ufficio. Dalle dichiarazioni di Angelo Siino, Massimo Ciancimino, Gianni Lapis e Giovanna Livreri, lette alla luce delle conversazioni intercettate, si configura l'esistenza di un sistema affaristico e politico-mafioso al cui centro sono gli interessi del GRUPPO GAS, nonché la pratica di subappalti ad imprese mafiose dei lavori di metanizzazione.
Lapis si occupava di curare i rapporti con le amministrazioni e i politici di riferimento. Secondo la tesi dell'accusa, l'on. Romano si sarebbe messo a disposizione degli interessi di queste società utilizzando le sue funzioni pubbliche sulla scorta di rilevanti elementi. Infatti, da numerose intercettazioni di conversazioni tra Lapis e Massimo Ciancimino si evince l'appoggio di alcuni politici, attraverso la presentazione di proposte di legge o emendamenti che potessero favorire le società del GRUPPO GAS o mediante interferenze sulle amministrazioni locali riguardo alla metanizzazione. Inoltre le successive dichiarazioni di Ciancimino, Lapis e Livreri rivelano che, dopo la vendita della società in questione alla spagnola GAS NATURAL alcuni politici, tra cui Romano, avevano ricevuto compensi in denaro. La richiesta del GIP è tesa a ricostruire questo scenario e ad individuare eventuali responsabilità dell'on. Romano. Si tratta di un'accusa assai grave ma solo di un'accusa. Soltanto il processo potrà dire se si tratti di un'ipotesi fondata.
Il GIP procede innanzitutto ad analizzare puntualmente le eccezioni formulate dalla difesa riguardo all'inutilizzabilità delle intercettazioni e alla loro inammissibilità, confermandone la legittimità. Si sofferma quindi sul carattere occasionale o meno delle intercettazioni che coinvolgono l'on. Romano. Dai provvedimenti autorizzativi e dalle informative di polizia giudiziaria non emerge mai un orientamento o una 'mira' dell'indagine volti alla captazione di conversazioni del parlamentare. Si è piuttosto in presenza dell'occasionale interlocuzione del deputato con persone indagate, le cui utenze sono state sottoposte legittimamente a controllo.
All'epoca delle intercettazioni non si erano ravvisati, infatti, indizi di reità a carico dell'on. Romano, emersi successivamente, a seguito delle dichiarazioni di Massimo Ciancimino, di Gianni Lapis, di Giovanna Livreri. Solo a partire dal 2008, comincia a delinearsi il sistema politico, affaristico-mafioso costruito attorno agli interessi del Gruppo Gas e ad apprezzarsi il rilievo indiziario e probatorio delle 25 conversazioni, alla luce delle dichiarazioni sopracitate, che forniscono una chiave di lettura a condotte prima ritenuti irrilevanti.
Quanto alle condotte specifiche richieste all'on. Romano, risulta che Lapis abbia chiesto a Romano di inserire un emendamento nella legge finanziaria e ottenere un'udienza al Ministero delle attività produttive. Tali impegni naturalmente non avrebbero potuto avere rilevanza penale se a fronte di essi non fossero state promesse e consegnate somme di denaro.
Sia Massimo Ciancimino sia lo stesso Gianni Lapis, negli interrogatori del 25 luglio 2008 e del 19 marzo 2009, hanno riferito di dazioni di somme di denaro agli onorevoli Saverio Romano e Salvatore Cuffaro. Addirittura Ciancimino ha prodotto un pizzino di Lapis che annota le dazioni ai politici. Dalle captazioni effettuate sull'utenza di Gianni Lapis è stata ricostruita la fase preparatoria del pagamento delle somme ai politici del gruppo UDC siciliano per i servizi resi.
Emerge dalle indagini che, su ordine di Massimo Ciancimino, viene prelevata in contanti la somma di 1.330.000 euro dal conto del prestanome Ghiron Christian da destinare a Lapis, facendolo transitare illegalmente dalla Svizzera in Italia. Il 28 febbraio 2004, Lapis convoca Salvatore Cintola per consegnargli il denaro e gli chiede di avvisare anche l'on. Romano, che però non potrà essere presente all'incontro per gravi motivi di salute della moglie.
Alcuni giorni dopo, il 3 marzo 2004, Lapis telefona a Romano e fissa un appuntamento per il giorno seguente, completando in tal modo il pagamento di denaro in contanti e in nero a favore degli esponenti politici. Sostiene il GIP che, anche alla luce delle sentenze della Cassazione, la pubblica funzione legislativa non consente di escludere aprioristicamente il mercimonio che connota il reato di corruzione soprattutto quando emerga che la scelta discrezionale sia avvenuta non nell'interesse pubblico ma al fine del prevalente interesse del privato corruttore (1).


(1) Assolutamente infondata è poi la tesi - emersa nel dibattito - per cui il procedimento a carico del Romano sia iniziato perché egli era in procinto di passare dal gruppo dell'UDC (allora opposizione parlamentare) al gruppo misto di maggioranza. Si tratta - qui davvero - di congetture senza riscontro, anche perché l'indagine nasce nel 2008, ben prima del 29 settembre 2010 (giorno in cui lascia il gruppo dell'UDC) e del 14 dicembre 2010 (giorno in cui Romano vota la fiducia al governo Berlusconi).
Quanto ancora all'argomento per cui vi sarebbe stato uno scambio di persona tra Romano Tronci e Francesco Saverio Romano, ancora una volta si tratta di una deduzione errata: se pure in qualche atto investigativo ci si confonde tra i due, è certo e nemmeno contestato dal deputato Romano che sia proprio lui ad aver ricevuto i 50 mila euro. In conclusione: l'inchiesta è ampia, documentata, motivata e riscontrata. Ci sono fatti e circostanze che nessuno può discutere e che hanno indotto persino il Capo dello Stato a emanare un comunicato stampa di avvertimento, il 23 marzo 2011. Le frequentazioni del deputato Romano e la sua percezione dei danari portano a escludere ogni e qualsiasi intento persecutorio e quindi tolgono ogni motivazione al diniego proposto inizialmente.


Il GIP, quindi, si sofferma a valutare la rilevanza delle conversazioni di cui chiede alla Camera l'utilizzabilità. Ai sensi della normativa vigente, le conversazioni di cui è possibile escludere l'acquisizione sono solo quelle palesemente irrilevanti, d'altronde l'adozione di un criterio più restrittivo potrebbe tradursi in un pregiudizio delle stesse ragioni difensive del deputato indagato. La prova da escludere è solo quella manifestamente ridondante, orientata ad acquisire una conoscenza già in atti. La fase ancora magmatica, in cui interviene la valutazione del giudice, consente di estromettere soltanto materiale palesemente inutile. La necessità di vagliare la credibilità dei dichiaranti induce, conclude il GIP, a ritenere utile qualsiasi elemento pertinente che possa giovare ad esercitare tale controllo.
Quanto al preteso fumus persecutionis si osserva quel che segue.
Le intercettazioni sono state regolarmente autorizzate e sono state concluse tutte entro i termini di efficacia dei relativi decreti di autorizzazione. Per quanto attiene alla legittima acquisizione delle comunicazioni in riferimento al carattere indiretto o fortuito del coinvolgimento del parlamentare, l'ordinanza del GIP sottolinea che le intercettazioni sono state disposte ed eseguite nell'ambito di altri procedimenti in cui l'on. Romano non risultava indagato, né i provvedimenti autorizzativi o le informative di P.G. allegate agli atti segnalano l'orientamento dell'indagine intercettiva sulla persona del parlamentare quale indagato o persona offesa o informata dei fatti.
È infatti esclusa l'esistenza di iscrizioni pregresse del parlamentare nei procedimenti dai quali provengono le intercettazioni oggetto della richiesta. Ciò è confermato dall'iscrizione nel registro degli indagati dell'on. Romano solo nel 2008 all'esito di complesse attività di indagine espletate in altri procedimenti (2).


(2) Quanto alla direzione delle intercettazioni, occorre dedicarvi alcuni chiarimenti, altrimenti la Camera dei deputati rischia di avallare un'interpretazione del tutto aberrante e pericolosa della Costituzione. La sentenza della Corte costituzionale n. 390 del 2007, seguita in termini dall'ordinanza n. 317 del 2008 e, su questo, non contraddetta dalle sentenze nn. 113 e 114 del 2010, ha chiaramente stabilito che l'articolo 68, terzo comma, della Costituzione non offre in alcuna maniera una tutela rafforzata della privacy del parlamentare né può essere interpretato come uno strumento processuale che giovi a terzi.
Tutte le interpretazioni che portino al risultato pratico dell'inutilizzabilità in radice di atti istruttori nei confronti di terzi per il solo fatto che questi siano interlocutori, anche abituali, di membri del Parlamento non solo offrirebbero al parlamentare un privilegio inammissibile ma addirittura darebbero alla cerchia dei suoi amici e conoscenti un usbergo pericolosissimo per la prevenzione e la repressione degli illeciti penali.
È pertanto perfettamente inutile che diversi esponenti politici si proclamino fautori di un efficace contrasto della criminalità se poi prescelgono interpretazioni e applicazioni del diritto costituzionale che offrono comodi salvacondotti per mafiosi, camorristi, delinquenti comuni e affaristi di ogni sorta. Sbagliano infatti i colleghi che ritengono che Lapis fosse intercettato solo per essere il commercialista di Saverio Romano. Lapis era e sembra essere ancora - stando alle motivazioni del suo arresto recentissimo - un personaggio di spessore criminale autonomo e distinto dal Romano e meritevole delle intercettazioni per sue proprie condotte. Quelle intercettazioni erano dirette a lui e non ad altri.
Che poi - vari anni dopo - esse siano state riascoltate (si badi: non "effettuate" ma riascoltate, come risulta dai verbali agli atti) per usarle contro Romano costituisce la conferma della diligenza e dello scrupolo della magistratura che intendeva riscontrare le dichiarazioni testimoniali di Lapis stesso, Ciancimino e Livreri.
L'articolo 68 della Costituzione deve essere interpretato nel senso che esso tutela l'Assemblea parlamentare attraverso l'attribuzione di specifiche e limitate prerogative ai suoi membri, le quali non possono essere estensivamente interpretate (in tal senso v. anche la sentenza n. 235 del 2007). Da questo punto di vista, è certamente vero che la sistematica intercettazione di soggetti notoriamente vicini a un parlamentare si può rivelare come un mezzo fraudolento per aggirare la garanzia dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione; ma è chiaro che tale intento fraudolento da parte dell'autorità inquirente dev'essere provato da chi intende escludere la prova dal novero di quelle utilizzabili. Non può invece essere posto a carico degli inquirenti l'onere di provare l'imprevedibilità del colloquio della persona intercettata con il parlamentare, requisito peraltro del tutto avulso dal dettato costituzionale.
Questa impostazione di cautela e di responsabilità, del resto, è stata già fatta propria all'unanimità dalla Giunta nelle sedute del 29 novembre 2006, 16 gennaio 2008 e da ultimo del 23 febbraio 2011 (caso dell'on. Rotondi). La migliore dottrina (Grevi, Giostra, Centini e Gialuz) ha peraltro messo in guardia la comunità giuridica da letture assurde e paradossali dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione. Calando queste considerazioni nel caso concreto, appare evidente che la tesi inizialmente sostenuta dal collega Cassinelli porta alla conclusione che il professor Lapis, per il solo fatto di essere un interlocutore abituale del deputato Romano, si gioverebbe di un'immunità parlamentare "da contagio" e che quindi tutte le intercettazioni a suo carico, per la sola circostanza che sarebbe ragionevolmente prevedibile che egli parli con il deputato, dovrebbero essere interrotte sul nascere e comunque non utilizzate. Si tratta con tutta ovvietà di una conclusione che non solo cozza col diritto ma si scontra con la ragionevolezza e il buonsenso. Tanto più che l'inchiesta di cui si discute attiene ai gravissimi fatti di riciclaggio e reimpiego di capitali mafiosi.


Quanto alla rilevanza delle conversazioni intercettate, il GIP ritiene che esse attestino non solo contatti e frequentazioni, ma soprattutto la percezione di somme di denaro da parte dell'on. Ro mano in cambio dell'esercizio delle funzioni pubbliche a favore degli interessi della società riconducibile a Gianni Lapis. È di tutta evidenza che, alla luce delle dichiarazioni successive di Lapis e Ciancimino, l'utilizzazione delle conversazioni assume un'indubbia rilevanza.
Va inoltre tenuto presente anche alla luce dell'articolo 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 che solo le conversazioni palesemente irrilevanti debbono essere escluse dal GIP e l'irrilevanza riguarda sia le prove a carico che quelle a discolpa dell'indagato.
Ricordiamo che la stessa Giunta nella scorsa legislatura a larga maggioranza deliberò di concedere l'autorizzazione per le intercettazioni di Piero Fassino che non era indagato. Ma se, come sostenuto dal collega Cassinelli, tali conversazioni fossero del tutto irrilevanti, sarebbe più utile concedere l'autorizzazione giacché da esse l'on. Romano potrebbe trarre argomenti difensivi altrimenti preclusi, nonché spunti per interpretazioni alternative favorevoli alla sua difesa.
Secondo una parte della Giunta, le accuse sarebbero poco consistenti; e - oltretutto - le intercettazioni sarebbero illegittime perché mirate proprio a Saverio Romano e non sarebbero quindi casuali nel senso indicato dalla giurisprudenza costituzionale (sent. n. 390 del 2007). Si è visto supra come questa posizione sia pretestuosa e infondata: ancora una volta diversi esponenti della Giunta tradiscono e umiliano lo spirito costituzionale sotteso agli istituti dell'immunità parlamentare.
Il costituente li immaginò perché non avessero più a ripetersi le storie del (non più giovane) Francesco Saverio Nitti, la cui casa fu perquisita e saccheggiata dalla polizia fascista nell'autunno del 1923; di Giacomo Matteotti, ucciso dalla CEKA il 10 giugno 1924 per la sua attività di deputato di opposizione; di Giovanni Amendola, picchiato a Montecatini nel 1925 e morto a Cannes nell'aprile 1926; di Antonio Gramsci, dichiarato decaduto dal mandato parlamentare il 9 novembre 1926 e processato nel 1928 per la sua attività di deputato e di politico d'opposizione, dal tribunale speciale, che lo fece imprigionare e che gli sequestrò la corrispondenza.
Non sembra che il contesto sia comparabile. Per tutte le ragioni addotte la Giunta, a maggioranza, ha deliberato di proporre all'Assemblea che l'autorizzazione richiesta sia concessa.

Marilena SAMPERI, relatore


ALLEGATO

Estratto dei resoconti delle sedute della Giunta per le autorizzazioni del 30 novembre e del 6 e 14 dicembre 2011.

30 novembre 2011

Roberto CASSINELLI (PdL), relatore, riferisce che la richiesta in titolo si colloca entro un'indagine della procura di Palermo (procedimento penale n. 15675/08 RGNR) che si svolge a carico di diversi soggetti: Gianni Lapis, Massimo Ciancimino, Salvatore Cintola, Carlo Vizzini, Francesco Saverio Romano salvo altri. I reati ipotizzati sono il riciclaggio e la corruzione aggravati ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 203 del 1991 (fatti commessi con il metodo delle organizzazioni di tipo mafioso o per favorire le medesime).
In particolare, l'autorità giudiziaria richiede di acquisire venticinque intercettazioni di conversazioni che testimonierebbero gli stretti rapporti tra Gianni Lapis e l'on. Romano e come in definitiva quest'ultimo avesse inteso l'intera sua funzione parlamentare come strumentalizzata e messa a disposizione del sodalizio criminoso. Fa presente che il procedimento sopra richiamato è una gemmazione del procedimento penale n. 12021/2004 RGNR sempre nei confronti del Lapis e di Massimo Ciancimino.
Chiarisce, in via preliminare, che il Massimo Ciancimino di cui si tratta è il figlio di Vito, già sindaco di Palermo e ora deceduto. Invece, il Salvatore Cintola di cui si parla è stato più volte deputato, membro dell'Assemblea regionale siciliana e da ultimo anche senatore della Repubblica, cessato da tale carica nel 2009 per aver optato ancora una volta per il seggio all'Assemblea regionale siciliana. L'on. Cintola è poi anch'egli deceduto il 30 luglio 2010.
Illustra che la documentazione che accompagna la domanda dell'autorità giudiziaria di Palermo è assai voluminosa e contiene atti di vario genere (verbali di interrogatorio, documentazione bancaria, tabulati telefonici, brogliacci di intercettazioni telefoniche e ambientali, copie di corrispondenza tra i vari protagonisti, perizie, copie di deliberazioni amministrative ecc.). A brani la documentazione non è di facilissima lettura, giacché si tratta di brogliacci scritti a mano.
Precisa quindi che, in buona sostanza, l'ipotesi accusatoria si fonda su due pilastri: in primo luogo, vi sarebbe un'associazione per delinquere le cui menti sarebbero Lapis e Massimo Ciancimino, i quali hanno di fatto continuato a gestire un potere finanziario in Sicilia, muovendo dal controllo della metanizzazione di vasta parte del territorio della Regione e dal controllo delle società del gas. A questo riguardo, l'autorità giudiziaria compiega due voluminose perizie del dott. Collovà, il quale ricostruisce la storia amministrativa della metanizzazione attraverso l'analisi delle deliberazioni di molti enti locali e mediante lo studio di copioso materiale societario e contabile.
In secondo luogo, l'associazione avrebbe - per così dire - due versanti di interesse, quello Lapis-Ciancimino e quello dei politici che ottenevano da costoro vantaggi e che avrebbero supportato dall'esterno gli interessi del sodalizio criminoso (Vizzini, Cintola, Cuffaro, Romano). Più in dettaglio, al duo Lapis-Ciancimino devono essere ricondotte le società che si occupavano di ottenere gli appalti per i lavori di metanizzazione e di gestione del servizio di erogazione del gas. Queste ditte (per esempio l'AKRAGAS, la CONGAS, la FINGAS, la NISSENA GAS e altre) indi subappaltavano ad altre imprese legate sul territorio a varie ulteriori organizzazioni mafiose.
Questa attività doveva contare su appoggi istituzionali consistenti, in particolare perché lo sfruttamento del gas è soggetto a concessione da parte della Regione (a questo proposito negli atti è consultabile il parere dell'ufficio legale della Regione Sicilia del 1986, secondo cui per concedere le opere di metanizzazione era possibile la trattativa privata).
È per questo che da molti anni (già a partire dalla fine degli anni '70) il Ciancimino padre e il Lapis contavano su relazioni e amicizie in ambito politico e di fatto coltivavano essi stessi una classe dirigente che potesse ritenersi affidabile per i loro scopi.
Questa lettura degli eventi è offerta dal medesimo Gianni Lapis nell'interrogatorio reso il 19 marzo 2009. In tale circostanza egli afferma di aver dato somme a diverse persone tra cui sia Vizzini sia Cintola ed anche al Romano, precisando che non si sarebbe trattato di somme particolarmente significative. Peraltro, in un successivo passaggio specifica che nel 1992 il deputato Romano era troppo giovane per dare un apporto significativo.
Fa presente quindi che nelle deposizioni testimoniali di Marco Villani, di Bruno Lamenta e di Lelio Cusumano si può trovare conferma dei rapporti continui tra Lapis e i predetti politici. Che Lapis si occupasse del settore del gas è affermato sia dal lungo interrogatorio dell'avvocatessa Giovanna Livreri (legale di varie società del gruppo GAS) dell'8 aprile 2009 sia dell'avvocato Corsini di Cadenzano (in provincia di Firenze) che ebbe occasione di fare affari con lui. L'interessamento del complesso delle cosche mafiose alla gestione del gas apparirebbe attestato anche da un passaggio di un interrogatorio del pentito Antonino Giuffré del 17 settembre 2009. Altro fondamentale tassello della ricostruzione da parte degli inquirenti sta in un decreto di sequestro preventivo di conti bancari disposto dal giudice delle indagini preliminari di Palermo, Gioacchino Scaduto, il 9 luglio 2005. Da questo provvedimento emergerebbe come di fatto il Gianni Lapis sia oggi il dominus della situazione delle società del gas ma che egli sarebbe stato, per così dire, 'allevato' da Vito Ciancimino in qualità di prestanome e che soltanto alla morte del Vito Ciancimino medesimo abbia assunto il ruolo di 'mente' dell'associazione.
Circa le modalità dei versamenti asseritamente corruttivi da parte di Lapis ai predetti politici, tali versamenti avvenivano sul conto c.d. "Mignon" di una filiale del Crédit Lyonnais a Ginevra, oggetto del predetto sequestro preventivo.
Un altro elemento secondo gli inquirenti particolarmente significativo sarebbe un incontro avvenuto il 18 gennaio 2004 presso lo studio di Gianni Lapis in via Libertà a Palermo cui avrebbero partecipato Cintola, Cuffaro e Francesco Saverio Romano.
Al riguardo, precisa che tale circostanza (filmata dai carabinieri) è dapprima negata dal Cintola, interrogato il 16 giugno 2009, ma poi - dopo che l'interrogatorio aveva rivelato diverse contraddizioni ammesso nel successivo interrogatorio del 10 luglio 2009. Al Cintola peraltro viene contestata una telefonata del 15 ottobre 2003 dalla quale risulta l'indiscutibile rapporto di continua frequentazione tra lui e Lapis. Il 15 gennaio 2004 risulta che la holding del gas viene venduta per 120 milioni di euro a un gruppo societario spagnolo dopo che risultano essersi svolte anche trattative con la GAZPROM russa.
Nell'ipotesi accusatoria il ruolo di Romano sarebbe quello di essersi messo a disposizione in modo complessivo rispetto alle esigenze del gruppo.
In particolare egli si sarebbe detto disponibile a farsi promotore a vario titolo di emendamenti a proposte di legge e a procurare contatti tra Gianni Lapis e il Ministero dello sviluppo economico, dicastero competente per i provvedimenti di gestione delle imprese in crisi (ai sensi della c.d. 'legge Prodi'). Inoltre, il Romano avrebbe avuto il ruolo di informatore e di curatore sulle iniziative ministeriali in corso proprio per rendere Lapis edotto delle procedure amministrative in modo tempestivo.

Pierluigi CASTAGNETTI, Presidente, dispone l'audizione dell'on. Romano.

(Viene introdotto il deputato Romano)

Francesco Saverio ROMANO (PT), espresse in via preliminare preoccupazioni sullo svolgimento del procedimento, nel corso del quale non gli è stato consentito di estrarre copia delle trascrizioni delle intercettazioni che lo riguardano, a suo avviso in contrasto con la giurisprudenza costituzionale, ma soltanto di ascoltarle in cuffia, rimarca che si tratta di intercettazioni svoltesi ben otto anni fa. Si dice preoccupato non del contenuto delle intercettazioni bensì della conduzione del procedimento, giacché vengono mosse a lui accuse che invece non sono state contestate a Gianni Lapis né a Massimo Ciancimino, originari imputati nell'inchiesta e che sono stati successivamente condannati per intestazione fittizia di beni.
Crede curioso che a lui venga contestata l'aggravante di cui all'articolo 7 della legge n. 203 del 1991, quasi che egli abbia concorso in reati la cui commissione è iniziata a opera di Vito Ciancimino, deceduto già nel 2002.
Espone di aver reso un interrogatorio all'autorità giudiziaria, la quale gli contesta una generica disponibilità nei confronti del preteso sodalizio criminoso, rispetto alla quale però non sono offerti precisi riscontri. Conosce di fama il professor Gianni Lapis dal 1997, per essere costui un noto professionista di Palermo e titolare di una cattedra presso la facoltà di Economia e commercio. Nel 1999 il Lapis assunse la presidenza dell'Istituto regionale per il credito alle cooperative e, in tal veste, ne coltivò relazioni professionali.
Quanto alle società del gas, ricorda che la capogruppo è stata gestita per anni da tale Brancato, deceduto il quale subentrò il Lapis. Trova strano che i soci palesi di tale società non siano mai stati oggetto di indagine, mentre l'ipotesi accusatoria è che la società medesima, occultamente diretta da Vito Ciancimino, fosse di fatto dedita ad attività illecite.
Constata di non essere indagato per finanziamento illecito dei partiti bensì per una dazione che il Lapis stesso definisce una 'liberalità'. Deve invece precisare che il rapporto con Lapis era di tipo professionale: tanto ciò è vero che, volendosi egli far promotore di una modifica legislativa in materia di credito d'imposta, lo consultò per la stesura di un emendamento. Quanto all'episodio del preteso interessamento presso il Ministero delle attività produttive, chiarisce che il Lapis stava seguendo una transazione tra una società del gruppo GRACI e la Sicilcassa, operazione che aveva un'incidenza sul procedimento di commissariamento ai sensi della cosiddetta 'legge Prodi'. Quanto poi al preteso emendamento sulle società municipalizzate del metano, la cui approvazione veniva auspicata dal Lapis, rappresenta che la disposizione contenuta in tale emendamento formava oggetto di una proposta presentata al Senato da un esponente della Lega Nord e già approvato un anno prima. Non di meno, proprio i contatti a tal proposito intrattenuti dimostrano come gli inquirenti potevano agevolmente capire che i rapporti tra lui e Lapis erano frequenti.
Sottolinea peraltro che dai decreti di autorizzazione alle intercettazioni e di relativa proroga si capisce chiaramente come già dall'agosto 2003 gli inquirenti sapevano dei rapporti frequenti tra lui e Lapis, anche attraverso il suo assistente Mimmo Di Carlo. Ritiene pertanto che manchi, nel caso che lo riguarda, l'occasionalità delle conversazioni, delle quali forse si sarebbe dovuta occupare la Giunta in precedenti legislature.
In conclusione, se gli elementi che ha testé esposto destano in lui preoccupazione, un timore ancor maggiore gli susciterebbe l'idea che l'archiviazione in suo favore fosse determinata da un rifiuto della Camera di concedere l'autorizzazione all'uso delle intercettazioni di cui oggi si discute.

Federico PALOMBA (IdV), premesso che la Giunta non è un giudice del riesame e che non deve pronunziarsi sul merito delle accuse, avverte sin d'ora che voterà per la concessione dell'autorizzazione richiesta, come ha sempre fatto in circostanze di questo genere. Chiede al deputato Romano se possa spiegare perché abbia ricevuto i 50 mila euro di cui è risultanza in atti, per quale motivo essi venissero tratti da un conto svizzero e quali relazioni egli intrattenesse presso il Ministero delle attività produttive.

Marilena SAMPERI (PD) concede che l'intrattenere rapporti presso un ministero per favorire l'attività di imprese sul territorio sia fisiologico a patto però che non si tratti di attività illecitamente retribuita. È per questo che si associa ai quesiti del collega Palomba, chiedendo altresì al deputato Romano se la dazione dei 50 mila euro fosse un finanziamento al suo partito.

Maurizio BIANCONI (PdL), condivisa l'opinione del collega Palomba per cui la Giunta deve limitarsi ad una valutazione assai sommaria del merito delle accuse, chiede al deputato Romano se vi fosse amicizia e familiarità con Gianni Lapis.

Maurizio TURCO (PD), intendendo proseguire nel solco già individuato dal collega Bianconi, domanda al deputato Romano se non gli fosse nota la figura complessiva del Lapis a Palermo in quegli anni.

Francesco Saverio ROMANO (PT), iniziando dalle domande postegli da ultimo, risponde che Gianni Lapis era un noto professionista del diritto tributario della città di Palermo, era altresì professore ordinario all'Università ed era subentrato nella guida della holding del gas solo dopo la morte del Brancato. Lo ha generalmente consultato per motivi professionali; dopo il 2001 i loro rapporti si sono diradati.
Quanto, invece, alla dazione di danaro, rappresenta che l'unico indizio di tale versamento risulta da un biglietto rinvenuto nel domicilio di Massimo Ciancimino nel corso di una perquisizione. Su tale biglietto, da cui risultano dazioni complessive per un milione e trecentotrentamila euro, i beneficiari sono stranamente tutti indicati col solo nome di battesimo: Carlo per Carlo Vizzini, Luigi per Luigi Taliano; curiosamente lui, nell'ipotesi accusatoria, sarebbe stato invece indicato col cognome. In realtà, lo stesso Lapis ha precisato che il 'Romano' del biglietto deve essere identificato in Romano Tronci. Quanto ai 50 mila euro di cui si parla, rappresenta che a tale somma ha fatto riferimento solo il Lapis, imputandola a una liberalità. Se il pubblico ministero avesse chiaramente contestato a lui tale dazione egli l'avrebbe spiegata.

(Il deputato Romano si allontana dall'aula).

Pierluigi CASTAGNETTI, Presidente, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

6 dicembre 2011

Roberto CASSINELLI (PdL), relatore, propone il diniego dell'autorizzazione in titolo.

Pierluigi MANTINI (UdCpTP) ravvisa nella proposta del relatore, priva di una motivazione, una sorta di esortazione alla discussione. Rilevato che le accuse nei confronti del deputato Romano si inseriscono in un contesto assai serio, osserva che dall'audizione dell'interessato sono emersi, da un lato, i continui rapporti tra il deputato Romano e il professor Lapis e, dall'altro, che il Romano medesimo non ha risposto alle domande che gli sono state rivolte in ordine alla percezione del contributo di 50 mila euro. Gli sembra di poter escludere, allo stato degli atti, un intento persecutorio da parte dell'autorità giudiziaria. Gli ultimi sviluppi di cronaca, anzi, costituiti dal recentissimo arresto del Lapis, inducono serissime preoccupazioni e sembrerebbero suggerire di non frapporre ostacoli allo svolgimento regolare del processo.

Federico PALOMBA (IdV) si augura che la Giunta e la Camera non vorranno amputare il processo di una parte del compendio probatorio, negando l'autorizzazione richiesta. Evidentemente il deputato Romano frequentava una persona dagli affari non commendevoli, esperto di traffici di moneta e protagonista di vicende che di per sé colorano l'intero contesto. Voterà quindi contro la proposta del relatore.

Marilena SAMPERI (PD) si dice convinta della natura fortuita delle intercettazioni a carico del deputato Romano, giacché nei confronti di costui - nel 2003 e nel 2004 - non vi erano iscrizioni al registro degli indagati, né annotazioni di polizia. La rilevanza probatoria di quegli atti svolti a carico del Lapis si manifesta nei confronti del deputato Romano soltanto nel 2008 e nel 2009 a seguito delle dichiarazioni testimoniali del medesimo Lapis, di Massimo Ciancimino e dell'avvocato Livreri. Osservato che la dazione di danaro è provata da indizi riscontrati e circostanziati, si pronuncia per la concessione dell'autorizzazione. D'altronde il ragionamento giuridico del giudice richiedente è stringente e logico, corroborato da specifiche indicazioni di fatto, come per esempio quella, non contestata, per cui Romano aveva rapporti sia con Lapis sia con Cintola, il quale ebbe a ricevere il compenso illecito per l'attività svolta in un momento antecedente al Romano stesso, retribuito invece successivamente in ragione dell'impedimento dovuto a un infortunio della moglie. Tutti questi elementi di riscontro contribuiscono a chiarire i motivi del preteso ritardo nella domanda di autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni.

Luca Rodolfo PAOLINI (LNP), affermato di aver esaminato con grande scrupolo larga parte della copiosa documentazione, osserva che l'inchiesta si basa essenzialmente sulle figure di Lapis e Ciancimino, essendo peraltro il primo figura largamente nota a Palermo negli anni considerati, con la quale hanno avuto frequentazioni sicuramente molte centinaia di persone. Chiarito che il movimento della Lega Nord annette alla lotta alla mafia un'importanza primaria, anche alla luce delle infiltrazioni nel settentrione d'Italia, deve però rilevare la fragilità dell'ipotesi accusatoria che si fonda principalmente sul rilievo che il Romano avrebbe procurato al Lapis, per un verso, un appuntamento presso il Ministero delle attività produttive e, per l'altro, la stesura di un emendamento. Osservato che tale emendamento non risulta agli atti parlamentari come presentato alla Camera a firma di Francesco Saverio Romano, sottolinea come negli atti dell'inchiesta si equivochi continuamente tra Francesco Saverio Romano e Romano Tronci, rimanendo spesso confusi i riferimenti al secondo come se fossero rivolti al primo. Gli atti peraltro nemmeno rivelano con univocità la percezione dei 50 mila euro come mercede indebita per atti del suo ufficio. Premesso che il suo ragionamento comunque non significa attribuire a Francesco Saverio Romano la patente dell'innocente e che quindi non troverebbe alcunché di strano o di grave nella concessione dell'autorizzazione, deve però porre un problema di principio: è possibile ammettere che il commercialista di un deputato sia costantemente intercettato senza che tale attività di captazione sia considerata diretta al deputato medesimo? Nell'asserire che la Giunta deve confrontarsi con questo tema di fondo, chiede comunque che la deliberazione sia rinviata affinché egli possa approfondire presso il suo gruppo parlamentare la posizione da assumere.

Pierluigi CASTAGNETTI, Presidente, prende atto della proposta del collega Paolini e avverte che darà la parola a un collega a favore e a uno contro.

Marilena SAMPERI (PD), parlando contro, afferma che la questione è matura per la decisione.

Maurizio PANIZ (PdL), parlando a favore, ritiene che, anche per galateo parlamentare, non si possa denegare l'assenso ad una proposta di approfondimento istruttorio, comunque motivata.

Pierluigi CASTAGNETTI, Presidente, propone in via di mediazione che gli interventi si esauriscano oggi e si rinvii a martedì 13 dicembre la sola votazione.

La Giunta concorda.

Maurizio TURCO (PD) prende atto che nella richiesta (v. pag. 10 dello stampato) si dice che "il rilievo indiziario e probatorio delle 25 conversazioni in esame rispetto all'addebito oggi mosso al parlamentare indagato non poteva apprezzarsi prima che emergessero fonti di prova di natura dichiarativa, in grado di indicare una chiave di lettura a frammenti di condotte occasionalmente desumibili da alcune intercettazioni". Tanto gli basterebbe per pronunciarsi contro la concessione dell'autorizzazione. Ma può aggiungere che, come osservato dal collega Paolini, Lapis era persona che frequentava quasi tutta la città di Palermo e che quindi il fatto che lo conoscesse e lo frequentasse anche Romano non può ritenersi indizio sufficiente. D'altronde, gli sembra che le intercettazioni di cui si chiede l'uso siano state decontestualizzate.

Francesco Paolo SISTO (PdL) crede che l'unico oggetto della discussione debba essere l'occasionalità o non delle intercettazioni di cui si chiede l'utilizzo. Letti ampi stralci della sentenza della Corte costituzionale n. 390 del 2007, crede che si tratti chiaramente di intercettazioni mirate. Ne trae conferma da quanto affermato nella domanda del giudice (v. pag. 39 dello stampato), laddove si dice: "le conversazioni in rassegna attestano non solo contatti e frequentazioni ma soprattutto [...] uno stabile rapporto di messa a disposizione delle funzioni pubbliche esercitate dall'on. Romano in favore degli interessi delle società riconducibili tra gli altri al predetto Lapis". È dunque lo stesso giudice richiedente che attesta la stabilità del rapporto e quindi la prevedibilità delle intercettazioni. Voterà quindi a favore della proposta del relatore.

Donatella FERRANTI (PD), premesso che il Parlamento deve assumere un atteggiamento rigoroso e sobrio non solo in materia economica ma anche nell'amministrazione delle proprie prerogative affinché queste non degenerino in privilegi, esclude che in questo caso vi sia stato un fraudolento aggiramento dell'articolo 68, terzo comma, della Costituzione. Rileva come le argomentazioni ascoltate siano prive di basi giuridiche ma siano solo il vestimento di decisioni politiche. Contesta con forza l'idea per cui Lapis era intercettato solo perché commercialista di Saverio Romano. Egli era - viceversa - il diretto bersaglio delle intercettazioni. Il ragionamento dei colleghi Paolini e Sisto porta a estendere e moltiplicare in maniera irragionevole l'ampiezza dello schermo immunitario, che in realtà è posto a tutela del solo Parlamento e delle sue funzioni. Voterà contro la proposta del relatore.

Maurizio BIANCONI (PdL) condivide invece l'opinione del collega Sisto per cui, allorquando gli investigatori si accorgono di un'abituale interlocuzione dell'intercettato con un parlamentare, dovrebbero interrompersi. Voterà a favore della proposta del relatore.

Pierluigi CASTAGNETTI, Presidente, considera discutibile il ragionamento del collega Bianconi.

Roberto CASSINELLI (PdL), intervenendo a conclusione del dibattito, intende offrire alcune motivazioni sulla sua proposta. Considera anzitutto che l'imputazione elevata contro il deputato Romano è di corruzione aggravata per avere - a cavallo tra il 2003 e il 2004 - egli asseritamente cercato di intercedere presso il Ministero delle attività produttive in relazione a una procedura di amministrazione straordinaria ai sensi della c.d. legge Prodi (già n. 95 del 1979 e oggi decreto legislativo n. 270 del 1999); e di essersi reso disponibile alla presentazione di un emendamento che avrebbe apportato modifiche alla legislazione sulle società municipalizzate che gestiscono il servizio del gas. Queste attività sarebbero state sollecitate dal professor Gianni Lapis, esperto di diritto tributario e docente in tale materia nell'Università di Palermo. E poiché il professor Lapis sarebbe stato un sodale di Vito Ciancimino e lo sarebbe ancor oggi del figlio Massimo, tutta l'orbita delle operazioni considerate nell'inchiesta sarebbe quella mafiosa: di qui la contestazione dell'aggravante dell'articolo 7 della legge n. 203 del 1991. La richiesta del GIP di Palermo inerisce a 25 conversazioni telefoniche del periodo autunno 2003-primavera 2004.
Queste conversazioni del deputato Romano con il Lapis sarebbero rivelatrici del rapporto stretto tra i due e della sostanziale messa a disposizione delle funzioni pubbliche offerta dal Romano al Lapis e dunque al sodalizio pretesamente criminoso.
Ritiene che occorra prendere le mosse dalla disciplina delle intercettazioni, per le quali l'articolo 68, terzo comma, della Costituzione, richiede la previa autorizzazione se svolte a carico di un parlamentare. Secondo le sentenze della Corte costituzionale n. 390 del 2007 e n. 113 del 2010 l'articolo 68, terzo comma, della Costituzione e l'articolo 4 della legge n. 140 del 2003 che vi ha dato attuazione in parte qua si applicano a prescindere dall'utenza su cui avviene l'intercettazione e hanno riguardo solo al destinatario individuato in anticipo dalle operazioni di captazione. Secondo il giudice richiedente le intercettazioni di cui si chiede l'utilizzo sarebbero occasionali e non mirate perché l'on. Romano non sarebbe stato il bersaglio individuato in anticipo delle captazioni. Esse infatti risalirebbero agli anni 2003 e 2004, allorquando l'indagine era rivolta chiaramente a Ciancimino e a Lapis (peraltro successivamente condannati per vari reati) e mentre l'iscrizione al registro degli indagati del collega Romano sarebbe di vari anni successiva.
Su questo punto, però, ritiene che, nel contestare la corruzione - un reato a concorso necessario - continuata e aggravata, è ben difficile non vedere un asserito rapporto stabile tra i due soggetti (corruttore e corrotto), talché si rivela chiara la perfetta prevedibilità delle conversazioni tra l'intercettato in via diretta (Lapis) e quello in via indiretta (Romano). È per questo che il ragionamento del giudice di Palermo non è condivisibile. Peraltro, a diverso proposito, osserva che l'accusa specifica di aver svolto operazioni d'intermediazione con il Ministro allora denominato delle attività produttive nell'ambito di applicazione della 'legge Prodi' appare alquanto precaria se è vero, com'è vero, che il decreto legislativo n. 270 del 1999, agli articoli da 1 a 8, non dà al ministro o a sottosegretari alcun potere decisionale da esercitare in via discrezionale, essendo i requisiti di accesso alla procedura fissati dall'articolo 2 sulla base di indici quantitativi certi e non opinabili. Sicché l'attività del Romano non avrebbe potuto incidere in alcun modo per favorire in modo illegittimo il Lapis. Per tutti questi motivi propone che si riferisca all'Assemblea nel senso del diniego.

Maurizio PANIZ (PdL) trova particolarmente convincenti gli argomenti usati dai colleghi Paolini, Turco, Sisto e Bianconi e per questo voterà a favore della proposta del relatore. Del resto, se Francesco Saverio Romano non fosse stato deputato in procinto di passare dallo schieramento di opposizione a quello di maggioranza, forse non sarebbe neanche stato indagato. Questa conclusione gli viene indotta non tanto e non solo per il numero delle telefonate intercettate, di cui le 25 in discussione sono solo una parte, ma principalmente per il tipo di rapporto che si ritiene intercorresse tra Lapis e Romano.

Anna ROSSOMANDO (PD) contesta il ragionamento per cui le intercettazioni sarebbero decontestualizzate. Al contrario, il giudice motiva con cura e ampiezza le ragioni per cui in un primo momento esse non sembravano significative e per le quali invece, successivamente, esse hanno assunto rilevanza.

Dopo ulteriori interventi dei deputati Pierluigi MANTINI (UdCpTP) e Luca Rodolfo PAOLINI (LNP), Pierluigi CASTAGNETTI, Presidente, rinvia, come concordato, la deliberazione alla seduta del 13 dicembre 2011.

14 dicembre 2011

Pierluigi CASTAGNETTI, Presidente, ricorda che si era convenuto di concludere, con la fase di voto, nella seduta odierna l'esame della domanda in titolo. Chiede quindi se vi siano annunci di voto sulla proposta di diniego formulata dal relatore Cassinelli.

Armando DIONISI (UdCpTP) preannuncia il voto di astensione del suo gruppo sulla proposta di diniego formulata dal relatore. Ciò in quanto le intercettazioni in questione sono relative al 2003 e sembrano decontestualizzate rispetto al complesso delle indagini svolte, non risultando inoltre del tutto convincenti alcune argomentazioni addotte dal giudice a sostegno della richiesta.

Antonino LO PRESTI (FLpTP) preannuncia il voto contrario del suo gruppo, ritenendo preponderante l'esigenza che sia fatta chiarezza nel processo sull'eventuale partecipazione del Romano al sodalizio criminoso.

Federico PALOMBA (IdV) ribadisce il proprio voto contrario e preannuncia la presentazione di una relazione di minoranza per il caso che la proposta del relatore Cassinelli fosse approvata.

Pierluigi CASTAGNETTI, Presidente, poiché non vi sono altre richieste di annunzio di voto, indìce la votazione.

La Giunta, con 9 voti contrari, 8 favorevoli e due astensioni, respinge la proposta di diniego formulata dal deputato Cassinelli. Conferisce quindi mandato alla deputata Samperi di predisporre la relazione per l'Assemblea nel senso della concessione dell'autorizzazione.


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