ORDINANZA
A scioglimento della riserva assunta all'udienza del 25 marzo 2009, scaduti i termini assegnati per il deposito di note e di repliche, rispettivamente, in data 20 aprile 2009 e in data 8 maggio 2009, letti gli atti delle parti ed esaminati i documenti depositati
1. Competenza territoriale.
In via pregiudiziale va esaminata la questione della competenza territoriale, tempestivamente eccepita da parte convenuta.
L'impostazione della questione deve prendere le mosse dal combinato disposto degli artt. 20 c.p.c. e 2043 c.c., rilevando l'accertamento della responsabilità extracontrattuale, per asserita lesione della reputazione, che, come noto, determina quale foro facoltativo la competenza territoriale del giudice del luogo in cui l'obbligazione è sorta o deve essere eseguita.
Nel caso in cui le modalità attuative della condotta si avvalgano quale strumento di esternazione del mezzo televisivo (come nel caso di specie), o comunque di un mezzo connotato da forte potenzialità diffusiva (pubblicazione di articoli su stampa periodica, notizie trasmesse per via telematica, diffusione di un libro e simili), si pone il problema di individuare in concreto l'applicazione del concetto generale evocato dalla norma, con particolare riferimento al luogo di insorgenza dell'obbligazione da fatto illecito.
In altri termini, la potenziale discrasia tra il luogo di realizzazione della condotta lesiva e quello in cui si verifica il pregiudizio della reputazione, eziologicamente collegato alla prima, dà la stura per addivenire a diverse interpretazioni del dato normativo di riferimento a seconda del momento reputato prevalente nell'operazione di ricostruzione.
L'analisi delle pronunce intervenute sul punto evidenzia la sussistenza di tre orientamenti nella giurisprudenza di legittimità. Secondo una tesi la competenza territoriale si radica nel luogo in cui viene posta in essere la condotta pregiudizievole e, quindi, nel caso di utilizzo del mezzo televisivo, negli studi ove è stato realizzato e diffuso il programma in occasione del quale le affermazioni offensive sono state rese (Cass. n. 9369/2000, n. 7899/2000 e n. 12234/2007). Altro orientamento individua quale foro ulteriore, accanto al criterio della condotta ed in via alternativa rispetto ad esso, il luogo di residenza o domicilio del danneggiante, facendo leva sulla natura di debito di valore che connota l'obbligazione risarcitoria nascente da fatto illecito e sul conseguente effetto di individuazione del luogo dell'adempimento, ex articolo 1182, comma 4, c.c. presso il domicilio del debitore, ai fini dell'operatività del foro del luogo di esecuzione dell'obbligazione di cui all'articolo 20 c.p.c. (Cass. n. 13042/1999, n. 10120/2000, n. 7037/1997, n. 5374/1995, n. 3733/1995, n. 6148/1992). Infine, secondo un'ulteriore opzione ricostruttiva occorre assegnare prevalenza al luogo in cui si verifica la lesione che deve individuarsi nel contesto ambientale in cui il danneggiato opera ovvero ha radicato il proprio centro di interessi (Cass. n. 2004/22586, n. 22525/2006, n. 12234/2007). Quali argomenti a sostegno della tesi vengono, tra l'altro, addotti per un verso, le disposizioni contenute nel Regolamento CE n. 44/2001 che assegnano prevalenza al foro dell'attore e, per altro verso, la norma vigente in materia di illecito penale (articolo 30 legge 223/1990) che espressamente contempla il foro della residenza della persona offesa dal reato di diffamazione commesso a mezzo dello strumento radiotelevisivo nel caso di attribuzione di un fatto determinato, disposizione ritenuta non necessaria in materia di illecito civile, stante l'esaustività del disposto di cui all'articolo 20 c.p.c. in combinato disposto con l'articolo 2043 c.c. ai fini dell'individuazione del medesimo giudice.
In riferimento al richiamato contrasto giurisprudenziale, rimesso alle Sezioni Unite con ordinanza n. 7759/2008, va osservato che l'impostazione (Cass. n. 22586/2004) che privilegia il criterio del luogo di domicilio o residenza del danneggiato ha il pregio di valorizzare l'elemento del danno ingiusto che assurge ad elemento costitutivo oggettivo dell'illecito civile (unitamente al fatto imputabile ed al nesso causale e, sotto il profilo soggettivo, alla colpa o al dolo) e che, in quanto tale, non può non assumere rilievo ai fini dell'insorgenza dell'obbligazione risarcitoria.
Tanto premesso e facendo applicazione delle coordinate teoriche tracciate alla fattispecie concreta, costituisce fatto notorio che già all'epoca dei fatti per cui è causa (10 aprile 2008), parte attrice rivestiva il ruolo di membro del Parlamento, ruolo che in adempimento degli incarichi istituzionali verosimilmente ha determinato la necessità di trascorrere lunghi periodi di permanenza in Roma.
La predetta circostanza deve essere messa in relazione con la documentazione prodotta da parte attrice dalla quale emergono significativi elementi per individuare la residenza effettiva nella suddetta città, con conseguente superamento delle risultanze anagrafiche difformi posto che le predette risultanze determinano l'insorgenza di una mera presunzione semplice che può essere superata ove sia fornita prova contraria (v. copia visura ipocatastale proprietà immobiliari in Roma e copia bollette utenze abitazione romana, rispettivamente documenti 2 e 3 allegate alle note di replica, nel fascicolo di parte attrice).
Peraltro, anche ove si reputi di aderire all'opposto orientamento giurisprudenziale, a mente del quale la competenza territoriale si radica nel luogo in cui è stato realizzato e diffuso il programma in occasione del quale le affermazioni offensive sono state rese (Cass. n. 9369/2000), nel caso di specie la collocazione degli studi televisivi presso la sede RAI di Roma consente di addivenire ad esiti analoghi a quelli ai quali conduce il criterio della residenza del danneggiato. Alla luce delle considerazioni che precedono, ritiene questo Tribunale che sia opportuno valutare la questione dell'incompetenza territoriale unitamente al merito, non essendo la stessa allo stato idonea a definire il giudizio.
2. Sospensione del processo.
Tanto premesso, va esaminata la disciplina introdotta dall'articolo 1 della legge 23 luglio 2008, n. 124 che, come noto, contempla la sospensione dei processi penali nei confronti, tra l'altro, del soggetto che riveste la qualità di Presidente del Consiglio dei ministri, ancorché i fatti per i quali si procede siano antecedenti all'assunzione della carica.
In particolare, il 1o comma della disposizione recita: «Salvi i casi previsti dagli articoli 90 e 96 della Costituzione, i processi penali nei confronti dei soggetti che rivestono la qualità di Presidente della Repubblica, di Presidente del Senato della Repubblica, di Presidente della Camera dei deputati e di Presidente del Consiglio dei ministri sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione. La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione».
Il tenore letterale della norma induce a ritenere che l'istituto della sospensione trovi applicazione esclusivamente nei processi penali e non anche nei processi civili.
Tale dato va messo in relazione con la previsione di cui al comma 6o dell'articolo 1, legge citata, che esclude l'applicazione dell'articolo 75, comma 3, c.p.p., ossia della disposizione che disciplina gli effetti del trasferimento dell'azione civile dal processo penale al processo civile, imponendo la sospensione di quest'ultimo fintanto che non solo non intervenga la pronuncia penale ma la stessa non sia più soggetta ad impugnazione.
Ritiene questo Tribunale che l'articolo 1, comma 6, legge citata, comporti il riconoscimento implicito della possibilità di agire in sede civile, nonostante la sospensione del processo penale, al fine di accertare il profilo di illiceità schiettamente civilistico della condotta con le conseguenze di legge. Ciò in quanto tale norma nella misura in cui esclude gli effetti ordinariamente connessi al trasferimento (sospensione) logicamente presuppone l'ammissibilità dello stesso.
Sul punto, occorre ricordare quanto affermato dalla sentenza n. 24/2004 della Corte costituzionale in riferimento all'idoneità della disciplina di cui all'articolo 1, legge 140/2003, a determinare la compressione del diritto della parte civile «la quale, anche ammessa la possibilità di trasferimento dell'azione in sede civile, deve soggiacere alla sospensione prevista dal comma 3 dell'articolo 75 del codice di procedura penale».
Tale pronuncia se, per un verso, offre un elemento sulla cui base accedere alla soluzione positiva in punto di trasferibilità dell'azione anche alla luce della pregressa disciplina, per altro verso, rappresenta una chiave di lettura dell'articolo 1, comma 6, legge n. 124/2008, potendosi ragionevolmente individuare la ratio legis della disposizione nell'esigenza di emendare la legge da ogni profilo di incostituzionalità al fine di fare corretta applicazione dei principi enucleati dalla Corte Costituzionale e, per tale via, scongiurare il rischio di prevedibili censure.
Posto il riconoscimento della possibilità di trasferire l'azione originariamente proposta nel processo penale nella sede naturale a seguito della sospensione, non può non ammettersi la proponibilità ab origine dell'azione nel processo civile.
La lettura del dato normativo secondo la ricostruzione testé delineata sembra, inoltre, trovare conferma nei principi generali ed, in particolare, nell'autonomia dell'illecito civile dall'illecito penale (che rinvia alle differenti concezioni sottese ai due sistemi, rispettivamente, riparatoria e sanzionatoria) e nella valenza centrale assegnata dalla Costituzione alla persona ed alle posizioni soggettive che ne rappresentano proiezione nella realtà sociale (articolo 2 in combinato disposto con l'articolo 3 Cost.).
Secondo consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità - pienamente condiviso dall'odierno giudicante - «nell'ambito dei diritti della personalità umana, con fondamento costituzionale, il diritto all'immagine, al nome, all'onore, alla reputazione, alla riservatezza non sono che singoli aspetti della rilevanza costituzionale che la persona, nella sua unitarietà, ha acquistato nel sistema della Costituzione» (Cass., n. 6507/2001).
Da tale inquadramento discende, altresì, la legittimazione a domandare il risarcimento del danno non patrimoniale «quand'anche il fatto illecito non integri gli estremi di alcun reato» (Cass., n. 25157/2008).
Consegue a quanto innanzi esposto l'esclusione dell'odierno procedimento dalla portata applicativa della sospensione.
3. Immunità.
Per quanto concerne, infine, la questione relativa all'esatta delimitazione dell'immunità riconosciuta ai membri del Parlamento dall'articolo 68, comma 1, Cost., anche alla luce della disciplina contenuta nell'articolo 3, comma 1, legge 140/2003 (secondo la quale la disposizione costituzionale trova applicazione, tra l'altro, «per ogni atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento»), devono essere svolte le seguenti considerazioni.
Il nesso tra opinioni espresse ed esercizio delle funzioni rappresenta strumento fondamentale per assicurare che il riconoscimento dell'immunità non si traduca in una violazione dell'articolo 3 della Cost., garantendo un privilegio personale ai beneficiari.
La Corte costituzionale (con le note sentenze nn. 10 e 11 del 2000) ha offerto preziose indicazioni ai fini della ricostruzione del concetto di nesso funzionale, chiarendo che: «mentre è pacifico che costituiscono opinioni espresse nell'esercizio della funzione quelle manifestate nel corso dei lavori della Camera di appartenenza e dei suoi vari organi, in occasione di una qualsiasi fra le funzioni svolte dalla Camera medesima, ovvero manifestate in atti, anche individuali, costituenti estrinsecazione delle facoltà proprie del parlamentare in quanto membro dell'Assemblea, l'attività politica svolta dal parlamentare al di fuori di questo ambito non può dirsi, invece, di per sé esplicazione della funzione parlamentare. Nel normale svolgimento della vita democratica e del dibattito politico, le opinioni che il parlamentare esprima fuori dai compiti e dalle attività propri delle assemblee rappresentano infatti l'esercizio della libertà di espressione comune a tutti i consociati, cosicché, a precisazione - anche in vista di esigenze di certezza - della precedente giurisprudenza della Corte in materia, se ne deve concludere che il nesso funzionale da riscontrarsi, per poter ritenere l'insindacabilità, tra la dichiarazione e l'attività parlamentare, non può esser visto come un semplice collegamento di argomento o contesto fra l'una e l'altra, ma come identificabilità della dichiarazione quale espressione dell'attività parlamentare»; ed, altresì: «Una volta stabilito che a norma dell'articolo 68, primo comma, Cost., le dichiarazioni del deputato o del senatore, che per esse siano stati chiamati a rispondere davanti all'autorità giudiziaria, possono riconoscersi coperte dall'immunità ivi prevista solo in quanto si identifichino in un'opinione espressa in sede parlamentare, non può tuttavia affermarsi che tale opinione sia protetta da immunità solo nell'occasione specifica in cui viene manifestata in questo ambito e che ricada al di fuori della sfera della prerogativa se venga riprodotta in sede diversa. La pubblicità, ed anzi la naturale destinazione, che caratterizza normalmente le attività e gli atti del Parlamento, proprio per assicurarne la funzione di sede massima della libera dialettica politica, comportano infatti che l'immunità si estenda a tutte le altre sedi ed occasioni in cui l'opinione venga riprodotta al di fuori dell'ambito parlamentare, purché, beninteso, il contenuto "storico" di essa, anche se non proprio testualmente identico, sia sostanzialmente il medesimo. Dal che discende che la semplice comunanza di argomento fra la dichiarazione che si pretende lesiva e le opinioni espresse dal deputato o da senatore in sede parlamentare non può bastare a fondare l'estensione alla prima dell'immunità che copre le seconde».
In altri termini, superando l'interpretazione che rinviava alla necessità della manifestazione del pensiero intra moenia, la Corte ha ricompreso nell'ambito della disposizione le opinioni espresse extra moenia, imponendo una valutazione in concreto volta a verificare la possibilità di ricondurle alla funzione parlamentare mediante un giudizio di identità sostanziale di contenuto tra quanto espresso in sede parlamentare e quanto esternato pubblicamente.
Tanto premesso, occorre verificare se l'articolo 3, comma 1, legge 140/2003, in ragione della formula utilizzata («per ogni atto parlamentare, per ogni altra attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori del Parlamento»), determini un ampliamento del principio del nesso funzionale così come individuato nelle richiamate pronunce della Corte Costituzionale.
Sembra, al riguardo, che l'interpretazione costituzionalmente conforme, alla quale il giudice è tenuto, non possa prescindere da quanto espresso dalla Corte costituzionale sul punto con la sentenza n. 120/2004, con cui è stata dichiarata la infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3, comma 1, legge 140/2003.
In particolare, la Corte ha affermato che «Le attività di "ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica" che appunto il censurato articolo 3, comma 1, riferisce all'ambito di applicazione dell'articolo 68, primo comma, non rappresentano, di per sé, un'ipotesi di indebito allargamento della garanzia dell'insindacabilità apprestata dalla norma costituzionale, proprio perché esse, anche se non manifestate in atti "tipizzati"; debbono comunque, secondo la previsione legislativa e in conformità con il dettato costituzionale, risultare in connessione con l'esercizio di funzioni parlamentari. È appunto questo "nesso" il presidio delle prerogative parlamentari e, insieme, del principio di eguaglianza e dei diritti fondamentali dei terzi lesi».
Tale posizione è stata confermata con la sentenza n. 347/2004 con cui la Corte costituzionale ha dato atto che, per un verso, la sentenza n. 120/2004 «ha escluso che la norma abbia eliminato la necessità del "nesso funzionale" fra le opinioni espresse dal parlamentare fuori dal Parlamento, assunte come diffamatorie, e l'esercizio di funzioni parlamentari; ed ha ribadito - richiamando in particolare le citate sentenze numeri 10 ed 11 del 2000 - che esse rientrano nell'area dell'insindacabilità solo se costituiscano "divulgazione e riproduzione" di attività parlamentari, pur non necessariamente tipiche» e, per altro verso, che il predetto orientamento è stato condiviso dalle sentenze nn. 246 e 298 del 2004 con l'importante precisazione (contenuta nella sentenza da ultimo richiamata) della «necessità di una "sostanziale identità di contenuti" tra l'opinione espressa nell'atto parlamentare e l'esternazione che siffatta opinione divulghi».
Alla luce di tale orientamento e conformemente a quanto espresso sul punto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 29859/2408 e n. 18689/2047), ritiene questo tribunale che la verifica relativa all'ampliamento del principio del nesso funzionale in forza del disposto di cui all'articolo 3, comma 1, legge citata, debba concludersi negativamente.
Passando all'analisi della fattispecie concreta alla luce dei suindicati principi, va rilevato che non sono emersi elementi utili ai fini della configurazione del nesso funzionale nell'accezione testé delineata, non risultando alcuna attività parlamentare anche atipica come parametro di riferimento della valutazione di sostanziale identità di contenuti in relazione alle opinioni divulgate nel corso della trasmissione televisiva di cui è causa, opinioni riguardanti per lo più l'asserito conseguimento illegittimo della laurea nonché il modo in cui parte attrice ha esercitato le funzioni di pubblico ministero.
Pertanto, deve essere disposta la trasmissione di copia degli atti di causa alla Camera di appartenenza della parte convenuta.
Visto l'articolo 3, comma 4, L. 140/2003:
1) dispone la trasmissione degli atti di causa alla Camera di appartenenza;
2) dichiara la sospensione del giudizio.
Manda alla cancelleria per la trasmissione degli atti e la comunicazione alle parti costituite.
Roma, 20 giugno 2009
Il Giudice
(Dott.ssa Claudia Pedrelli)
Provvedimento redatto con la collaborazione del magistrato ordinario in tirocinio dott.ssa Marzia Di Bari.
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